MARKET | 16 Mag 2017

Agrifood: i dati che stanno cambiando le nostre tavole

Una ricerca del Digital Transformation Institute mette in evidenza le opportunità della Big Data Analysis nel settore Agrifood

Anche il settore Agrifood ne è consapevole: la sempre maggiore disponibilità di rilevanti quantità di dati, ovunque e comunque raccolti e resi accessibili, nonché la sempre più raffinata produzione di algoritmi che consentono un utilizzo strategico e analitico di tali dati sono delle incredibili risorse potenziali per sviluppare applicazioni, modelli e sistemi che aiutino differenti classi di utilizzatori (consumatori, imprenditori, policy maker) a prendere decisioni consapevoli su basi quantitative.

La raccolta e la trasformazione di un numero sempre maggiore di dati in informazioni strategiche e fruibili, però, non è un processo di per sé sufficiente a garantire una maggiore razionalità nelle decisioni economiche: esso deve essere accompagnato dalla crescita delle capacità dei diversi operatori economici dell’Agrifood (dalle Istituzioni alle aziende) nel saper sfruttare appieno le informazioni generate.

Proprio questo è il focus della ricerca Gli impatti della Digital Transformation sulla filiera Agrifood realizzata dal Digital Transformation Institute e Cisco Italia, che ha, nel dettaglio, voluto comprendere in che modo la trasformazione digitale sta impattando sulle filiere dell’agroalimentare in un Paese come il nostro, che di tale settore fa uno dei suoi principali punti di forza, e quale sia l’attuale stato dell’arte in tema di digitalizzazione dell’agricoltura, dell’agroindustria e del comparto agroalimentare in generale.

Settore agricolo e agroalimentare sono nelle condizioni ideali per sfruttare appieno le potenzialità offerte dalla disponibilità di dati alle singole imprese e alle filiere produttive in cui queste s’inseriscono.

Agricoltura di Precisione

Nell’Agricoltura di Precisione (AdP), come ben chiariscono le Linee guida del MIPAAF, l’analisi dei dati è strategica, visto che la gestione usa le tecnologie dell’informazione per acquisire quelli necessari a migliorare le decisioni finalizzate alla produzione agricola.

Lo scopo dell’Agricoltura di Precisione è quello di creare un sistema razionale per l’utilizzo delle risorse ambientali (terreno, acqua, fertilizzanti) e metterli in correlazione con le specifiche esigenze di ogni coltura. Questo processo permette, dunque, di minimizzare i danni ambientali e contemporaneamente elevare gli standard qualitativi dei prodotti agricoli. La sua pratica applicazione è oggi possibile grazie all’utilizzo di avanzate tecniche e sistemi informatici di monitoraggio, con i quali si possono automaticamente ottenere notizie sulle condizioni delle colture e del suolo e sulle loro variazioni, intervenendo in tempo reale attraverso miglioramenti puntuali ed efficienti.

A partire dai primi anni ’90, l’AdP ha registrato un rapido incremento, in larga parte favorito dalla disponibilità di un assetto tecnologico articolato su tre livelli:

  1. posizionamento geografico (GPS)
  2. informazione geografica (GIS)
  3. utilizzo dei sensori.

Il GPS è un sistema di radio-navigazione satellitare in grado di fornire informazioni di posizione nelle tre direzioni spaziali (x; y; z), velocità e tempo. I ricevitori GPS usano i segnali che provengono da quattro o più satelliti in vista per calcolare la posizione dell’utente, la sua velocità, il tempo e altri dati necessari alle applicazioni agricole. L’uso delle tecniche differenziali DGPS consente di calcolare in tempo reale le posizioni corrette (x.y.z) con una precisione elevata senza bisogno di correggere successivamente i dati dopo che questi sono stati registrati. Questo tipo di GPS è utile per svolgere operazioni come la mappatura dei raccolti con elevata risoluzione, la guida su traiettorie parallele, il campionamento del suolo e la distribuzione dei fertilizzanti e pesticidi a volume variabile nello spazio (VRA) o la guida in automatico dei veicoli agricoli.

Il sistema informativo geografico (GIS), invece, è un’applicazione software costituita da più moduli finalizzati ad acquisire, controllare, integrare, elaborare e rappresentare dei dati che sono spazialmente riferiti alla superficie terrestre e che riguardano ambiti territoriali vasti. I software GIS sono disponibili con una vasta gamma di capacità e funzioni, ma tutti sono capaci di mostrare sotto forma grafica i dati geo-referenziati. Un’adeguata co-registrazione di dati può essere analizzata quantitativamente per mezzo dell’uso della geo-statistica. Un principio di base nel GIS è che i diversi strati di una mappa per essere usati insieme devono basarsi sullo stesso sistema di coordinate. Tutti i file di dati spaziali in un GIS sono dunque geo-referenziati con sistema GPS.

L’Agricoltura di Precisione, infine, si basa fondamentalmente su una dettagliata conoscenza della variabilità spaziale delle principali proprietà dei suoli. Per l’acquisizione dei dati entrano in gioco i sensori, distinguibili in “remote” e “proxymal sensing”, o anche semplicemente “aerei” e “terrestri”. Nel caso del “remote sensing” si utilizzano solitamente sensori di tipo passivo, che sfruttano cioè la luce solare calcolandone la quantità riflessa dalla vegetazione con evidenti limiti all’utilizzo del monitoraggio da remoto (ad esempio differenze di lettura in caso di differenze nella trasmissione del segnale in atmosfera).

La realizzazione di cartografie (GIS, pedologiche, ecc.) con adeguata scala di dettaglio può avvalersi di misure più economiche ed efficienti, grazie allo sviluppo delle tecnologie di diverse tipologie di sensori prossimali. Queste, tramite misure speditive e a basso costo, riescono a fornire mappe molto dettagliate della variabilità del suolo a diverse profondità. Per “prossimali” s’intendono quei sensori che eseguono la misura a distanze minime (1-2 m) o tramite il contatto diretto con il suolo. Rispetto ai sensori aviotrasportati o satellitari hanno il pregio di avere una maggior precisione e un più semplice utilizzo. Tuttavia, vi sono dei limiti principali di uno sviluppo più ampio di queste tecniche sensoristiche, legati principalmente alla difficoltà dell’interpretazione dei dati. Essendo sensori che misurano un insieme di variabili ambientali, ad esempio umidità+argilla+pietrosità+salinità, talvolta è difficile modellizzare automaticamente una mappa di una certa caratteristica pedologica d’interesse. C’è bisogno, ad esempio, di un’elevata professionalità in campo pedologico per interpretare efficacemente i dati misurati dai sensori. Ma ciò non significa che passi in questa direzione non si stiano compiendo.

L’aiuto della Big Data Analysis

Grazie alle tecniche di Big Data Analysis è possibile aggregare e monitorare la grossa mole di dati ricavati dai sensori e produrre come output informazioni concrete sia per i produttori che per il consumatore finale.

La disponibilità di tale assetto tecnologico consente l’applicazione sistematica dell’Agricoltura di Precisione che prevede quattro fasi attuative:

  1. il monitoraggio di dati (ambientali, produttivi, pedologici, meccanici, ecc.)
  2. l’analisi
  3. la decisione/azione
  4. il controllo.

Questi quattro pilastri sono finalizzati alla gestione sostenibile delle risorse (fertilizzanti e nutrienti, sementi, prodotti fitosanitari, carburanti, acqua, suolo, ecc.) per mezzo del controllo delle macchine che le gestiscono.

LAgricoltura di Precisione, dunque, attraverso l’impiego razionale dei fattori decisionali contribuisce e agevola gli operatori nella pianificazione delle loro attività, i tempi per l’esecuzione degli interventi colturali, i task ripetitivi e l’intensità, riducendo fino ad annullare le possibilità di errore e, conseguentemente, aumentare l’efficienza produttiva. Il problema principale del suo sviluppo nella filiera agroalimentare sta nella disomogeneità di quest’ultima, che si avverte in particolar modo nei diversi stadi in cui la materia prima si trasforma in prodotto pronto per la tavola.

In questo contesto le nuove tecnologie spalancano la strada verso l’omologazione della filiera, partendo dal campo, dal momento del pre-lavorato, fino a giungere al consumatore sotto forma di interfaccia fruibile tramite dispositivi mobile o desktop per risalire a tutti i processi di filiera.

Per giungere a questa tipologia di output c’è bisogno che l’enorme quantità di dati rilevati, ad esempio, dai sensori disposti lungo tutta la filiera, venga trasformata in conoscenza concreta, in modo da affiancare al valore materiale del prodotto agroalimentare quello immateriale rappresentato dall’informazione della supply chain. Bisogna fare in modo che i dati a disposizione arrivino in un punto di accumulazione dove sono analizzati e interpretati per poi arrivare ad arricchire i processi decisionali di GDO e consumatori. Di fatto un vero e proprio “fil rouge” di dati che, aggregati grazie alla logica dei Big Data, consentono di costruire dei “cruscotti intelligenti” dei sistemi di supporto alle decisioni. In concreto, un’azienda che dispone di tali cruscotti intelligenti ha la possibilità di vedere l’intero processo della trasformazione della materia, dalla provenienza fino alla distribuzione. Stesso discorso per il consumatore che, grazie a un sottoinsieme di queste informazioni, riesce a distinguere il valore di ciò che compra. Non si tratta di sole schede prodotto ma di approfondire, magari grazie alla presenza di barcode sulle confezioni dei prodotti, l’interazione avvenuta nel processo che ha portato la materia prima a diventare prodotto sulle nostre tavole.

Tuttavia, emerge chiaramente dalla ricerca effettuata dal Digital Transformation Institute e dal focus effettuato sul settore vitivinicolo – ma il risultato può essere esteso a tutto il comparto – che le aziende che investono in digitale si rendono conto dei vantaggi e misurano il ritorno dell’investimento fatto anche in termini di miglioramento della qualità del prodotto, mentre quelle che non investono spesso non lo fanno perché non hanno percezione del bisogno di investire sul digitale.

A fronte di un 52% di aziende vitivinicole che ha intenzione di fare un investimento che sia più di una soglia minima di 5.000 euro, infatti, il 31% di aziende medio-piccole dichiara di non avere alcuna intenzione di fare investimenti in tal senso nel futuro. Se a ciò si associa il fatto che nella filiera vitivinicola esiste una correlazione diretta tra dimensione degli investimenti e qualità del prodotto, emerge un’evidenza significativa: le aziende caratterizzate da produzioni di qualità hanno una consapevolezza del ruolo del digitale che le aiuterà a produrre risultati migliori e di qualità, le altre, invece, rischiano di essere sempre meno competitive in un mercato sempre più esigente. E questo è un rischio che nessuna azienda del settore Agrifood può permettersi di correre.


Stefania Farsagli