SOCIETY | 12 Lug 2018

Back2basics: Blockchain

Il senso della parola "Blockchain"

Blockchain. Per i più è sinonimo di Bitcoin, la prima e più importante tra le criptovalute che da qualche tempo preoccupano il mondo finanziario, regalando a pochi un’insperata e talvolta effimera ricchezza, rischiando a molti di far perdere un sacco di soldi ma consentendo a tutti di sognare un po’: che a sognare non si fa male a nessuno, men che meno al proprio conto in banca.

Eppure, come spesso succede, Bitcoin – ed in generale le criptovalute – non sono che una, e nemmeno la più interessante – tra le tante applicazioni possibili utilizzando questa “catena di blocchi” di cui tutti parlano (spesso a vanvera).

Cos’è Blockchain, e perché promette di essere una delle più importanti innovazioni degli ultimi anni?

Blockchain si basa su un sistema definito Distributed Ledger Technology (in sigla DLT), che tradotto in italiano assume il significato meno ostico di “tecnologia basata su un registro distribuito”. Ed in fondo le DLT altro non sono che sistemi che consentono, grazie alle tecnologie di rete, di ripensare in maniera nuova ed interessante i processi che richiedono la registrazione sicura di transazioni che vedano coinvolti attori diversi. Come la vendita di una casa, la sottoscrizione di un contratto, il tracciamento di un prodotto all’interno di una filiera, lo scambio di beni… o di valuta (che nel caso di Bitcoin e dei suoi epigoni non corrisponde ad una moneta riconosciuta ma ad un bene virtuale e transattivo che viene generato attraverso un complesso procedimento basato su algoritmi matematici e rappresenta una sorta di strumento di “baratto”, ma questa è un’altra storia).

Il cambiamento di paradigma consentito dalle DLT è di grandissimo impatto: queste tecnologie potrebbero rappresentare per le transazioni quello che Internet è stato per i dati.

Da centinaia di anni siamo abituati a registrare i contratti e le transazioni su quello che di volta in volta viene chiamato con mille nomi diversi ma che in pratica non si scosta mai di molto dal vecchio concetto di “libro mastro”: il registro pubblico nel quale venivano trascritti i contratti. La trascrizione del contratto (o, più in generale, la presenza di una specifica transazione all’interno del registro) ne confermava la validità. Ovviamente, perché il registro avesse anche validità giuridica, la sua gestione doveva essere affidata ad un’Istituzione Superiore: il Notaio, la Casa Comunale, l’Ente di Certificazione (si prega il lettore di usare l’Intonazione Maiuscola delle Iniziali per Conferire Autorità Agli Attori Citati).

Ma cosa succederebbe se si sviluppasse una tecnologia in grado di consentire ad ognuno di disporre di una copia costantemente aggiornata del registro nel quale sono presenti le transazioni: dando loro validità rendendole certe, immodificabili, temporalmente definite, riservate, sicure rispetto al contenuto ed eliminando oltretutto la necessità di qualsiasi Istituzione Superiore?

Succederebbe una vera e propria rivoluzione del modo di concepire il ruolo di enti di certificazione e  registri pubblici, ma anche di tutti i modelli di intermediazione tradizionali (dalla piazza di mercato alla borsa): una rivoluzione resa possibile dalle DLT. Perché il registro distribuito reso possibile da queste tecnologie in fondo non è altro che questo: invece che dover andare tutti da un Notaio per registrare un atto, la registrazione dell’atto avviene nel momento in cui la hanno tutti nei loro archivi.

Quali le applicazioni?

Certo, la complessità tecnologica è elevata e il modello di funzionamento richiede un enorme livello di ridondanza dei dati, ma le applicazioni possono essere le più diverse: dalle criptovalute – che non hanno rappresentato altro che la killer application grazie alla quale oggi tutti abbiamo sentito parlare di Blockchain – ad una sharing economy “reale”, nella quale la condivisione non richieda la presenza di intermediari che gestiscono le informazioni dei propri utenti (trasformandole in valore che non sempre viene restituito agli utenti che l’hanno generato).

Social Network senza piattaforma centrale, in cui ognuno sia realmente “proprietario” dei suoi dati; ma anche contratti “smart”, in cui la registrazione non richieda la presenza di un ente terzo; processi di gestione delle filiere controllati e validati dalla “comunità” degli attori che ne fanno parte; ma anche sistemi di gestione del credito in cui ogni sottoscrittore sia garantito nei suoi diritti da una piattaforma costituita da tutti gli altri.

Stefano Epifani