Pochi concetti hanno affascinato al pari di Intelligenza Artificiale l’essere umano, alimentando la fantasia degli autori di fantascienza di ogni epoca: l’idea che l’uomo potesse “creare” artificialmente un’intelligenza, o che potesse addirittura costruire demiurgicamente nuove coscienze, ha prima sedotto e poi spaventato orde di scienziati, filosofi, teologi, economisti.
Ma così come sono pochi gli altri argomenti riguardanti l’informatica ad affascinare addetti e non addetti ai lavori, sono altrettanto pochi gli altri argomenti parimenti malintesi, mistificati, deformati nella loro essenza in virtù dell’esigenza di scrivere titoli a effetto o attribuirsi l’ennesima proposta di legge “innovativa”. E in un momento come quello attuale, in cui si parla sempre più spesso di Intelligenza Artificiale in virtù del fatto che si diffondono con sempre maggiore frequenza applicazioni che – a torto (quasi sempre) o a ragione (molto di rado) – sono riconducibili a questo tema, è fondamentale aver chiaro cosa si intende.
Il concetto di Intelligenza Artificiale è in realtà molto vasto, sotto questa definizione, infatti, ricadono i fenomeni più diversi: dai computer di 2001: Odissea nello Spazio e i robot delle saghe asimoviane, più umani degli esseri umani, ai risponditori automatici dei call center, che minano la pazienza anche dei più pazienti tra gli umani. I primi appartengono a quella tipologia di Intelligenza Artificiale definita “forte”, ossia quella che dovrebbe addirittura arrivare a raggiungere l’autocoscienza e che a oggi (e ancora per un bel po’ di tempo) è relegata ai film di fantascienza. Diverso il discorso per i secondi. L’Intelligenza Artificiale “debole” (che nulla ha a che fare con Vattimo e Rovatti) è dedicata ad analizzare o risolvere problemi specifici, talvolta computazionalmente troppo complessi per essere analizzati dalla mente umana. È il caso, ad esempio, del computer Deep Blue, che è riuscito già da tempo a battere il campione di scacchi Kasparov ma che, a parte giocare a scacchi, non saprebbe fare molto altro.
Intelligenza Artificiale debole per il futuro?
È l’Intelligenza Artificiale debole quella con cui non solo avremo a che fare nei prossimi anni, ma che è già presente in moltissime applicazioni attuali. Una AI che non si pone come obiettivo di “replicare” la mente umana, ma molto più semplicemente di svolgere meglio degli esseri umani funzioni specifiche. Basandosi sull’apprendimento automatico, sull’analisi automatica di grandi quantità di dati e su algoritmi talvolta in grado di cambiare sé stessi per adattarsi al mutare delle condizioni esterne.
Le applicazioni sono già oggi infinite: può essere utilizzata per suggerire “cose che piacciono” legate al comportamento dell’utente, per esempio sui social network, nei motori di ricerca o nei negozi on line; per l’anticrimine con l’analisi di immagini catturate da circuiti video presenti in città o in luoghi di interesse pubblico; nell’analisi dei dati finalizzata a prevedere gli acquisti dei clienti; nell’automazione domestica; nella prevenzione delle frodi che, dall’analisi dei comportamenti abitudinari del cliente, riesce a intercettare eccezioni possibilmente dolose; nei videogiochi; nella tanto temuta e dibattuta guida autonoma dei veicoli e persino nel giornalismo, con sistemi automatici di scrittura di notizie.
A tal proposito – per esempio – una recente ricerca ha rilevato come, su determinate categorie di articoli (sport, finanza, previsioni del tempo), un campione rappresentativo di lettori statunitensi abbia preferito gli articoli scritti dal computer a quelli redatti da giornalisti “umani”. Ma l’Intelligenza Artificiale debole è utilizzata oggi persino per comporre musica adottando lo stile dei grandi compositori, e per realizzare spot pubblicitari in modo completamente automatico.
Quale la sfida dell’AI?
Insomma, se siamo lontani dai computer autocoscienti e dagli scenari alla Matrix, di debole l’Intelligenza Artificiale ha solo il nome, perché gli impatti sull’economia, sul mercato e sulla società sono e saranno sempre più forti. Ma non bisogna mai dimenticare che tutti i problemi che saremo chiamati ad affrontare nei prossimi anni non dipenderanno da perfidi computer in stile Matrix, quanto piuttosto dalle regole che computer assolutamente inconsapevoli saranno costretti a seguire.
La vera sfida, quindi, consiste nel comprendere come l’attenzione vada posta in chi oggi sta scrivendo gli algoritmi dei computer di domani, e in come tali algoritmi saranno scritti. Perché sulla base di questi algoritmi sarà regolata una parte sempre più importante delle nostre vite.
Stefano Epifani