TECH | 21 Giu 2018

Back2basics: Internet of Things

Il senso delle parole "Internet of Things"

C’era una volta il computer. Oggetto misterioso e complesso il cui uso era demandato a tecnici in camice bianco che lo gestivano con schede perforate, la cui interpretazione faceva sembrare quella dei geroglifici un gioco da ragazzi. Poi il computer divenne “personale” (non a caso lo chiamiamo ancora oggi PC, ossia Personal Computer), e le cose cambiarono sensibilmente: ogni persona, ogni famiglia poteva avere il suo e usarlo con relativa semplicità. Arrivarono quindi le reti a mettere in contatto i personal computer di tutto il mondo e con essi i loro proprietari.

Reti come Internet, che le ha poi raccolte tutte, hanno avuto il merito di promuovere la diffusione dei computer dando loro mille usi e mille scopi diversi e aprendo le porte a una vera e propria rivoluzione. Dalle scrivanie nelle quali li avevano collocati i loro proprietari (si parlava di “desktop computer”) i computer si sono diffusi ovunque e dovunque. Non a caso si passa, intorno agli anni ’90, dal “desktop computing” all’“ubiquitous computing”, indicando il fenomeno per il quale il computer esce dai luoghi e dai contesti nei quali era abituale vederlo ed inizia a colonizzare altri luoghi ed altri contesti.

Il digitale diventa un vero e proprio seme di cambiamento

I microprocessori evadono dagli ingombranti contenitori nei quali erano stati relegati nell’era del desktop computing entrando nelle cose: in ogni cosa. Quel fenomeno che Adam Greenfield descrive come “l’elaborazione di informazione che si dissolve in comportamento” porta le logiche digitali a entrare negli oggetti di tutti i giorni generando un processo trasformativo che induce un vero e proprio cambiamento di senso e promuove una trasformazione non solo del ruolo degli oggetti nei quali entra l’informatica, ma dei comportamenti delle persone che li usano. È l’inizio di quella che si chiamerà, appunto, trasformazione digitale.

La prima vittima di questo profondo cambiamento è il telefono che diventando “smart” acquisisce sempre nuove funzioni e diventa – da semplice strumento di comunicazione interpersonale – una vera e propria interfaccia multifunzione attraverso la quale le persone interagiscono tra loro e con l’ecosistema informativo che le circonda.

Il telefono è solo il primo oggetto a mutare e diventare “smart

Lo seguono orologi (gli smart watch), televisori (le smart TV), automobili (le smart car). Intere città, popolate da un numero sempre più alto di oggetti interconnessi che promettono di diventare più semplici e a misura d’uomo. Quelle smart city i cui vantaggi reali rappresentano ancora oggi in molti casi una promessa che passa dalla comprensione di nuove dinamiche sociali, economiche e culturali. Dinamiche in cui la tecnologia gioca un ruolo da protagonista ma che, da strumento di cambiamento, rischia talvolta di trasformarsi in obiettivo del cambiamento stesso, invertendo quel rapporto causa-effetto invece così importante da garantire.

Sta di fatto che l’informatica è ormai uscita dai computer per entrare negli oggetti e nelle cose. Cose che Internet mette in contatto e fa parlare tra loro. Ecco quindi che, così come Internet un tempo metteva in contatto i computer e tramite essi i loro proprietari, oggi mette in contatto oggetti: tutte le cose all’interno delle quali c’è un microprocessore. Tutte le cose che, diventate digitali, sono collegate in Rete.

Siamo nell’era dell’Internet of Things: quell’Internet delle Cose nella quale miliardi di oggetti collegati in rete parlano con noi e tra di loro, comunque di noi. C’è chi stima che da qui al 2020 saranno oltre 60 miliardi gli oggetti “intelligenti” collegati in rete. Quanto questa intelligenza sarà al nostro servizio e quanto – invece – ci troveremo a essere al servizio di questa intelligenza dipenderà in buona parte da come riusciremo a sfruttare positivamente questa grande opportunità che la tecnologia ci presenta. Una partita impegnativa per i prossimi anni, che coinvolgerà tutti gli aspetti della nostra vita e della nostra società. Una partita destinata a cambiare molto di ciò che conosciamo.

Una partita il cui esito dipende da tutti noi.

Stefano Epifani