Social Network. No, non è sinonimo di Facebook.
Il concetto di Rete Sociale nasce molto prima di Internet: correvano gli anni ’30 e lo psicologo rumeno Jacob Levy Moreno ideò la sociometria, ossia quella branca delle scienze sociali che descrive e misura le relazioni tra individui e gruppi all’interno di contesti sociali complessi. Erano gli anni ’50 quando ci si rese conto che il concetto di “rete” funzionava meglio di quelli di “gruppo”, di “comunità” o di “famiglia” per descrivere la complessità delle relazioni sociali in contesti sempre più articolati, nei quali elementi come la mobilità sociale ed i nuovi modelli relazionali urbani rendevano necessari nuovi approcci che fossero in grado di evidenziare la complessità delle interazioni sociali: i rapporti di interdipendenza tra persone che condividono valori, affetti, atteggiamenti ed orientamenti; i processi di ridefinizione dei confini tra pubblico e privato; gli impatti di tutto ciò sui modelli di costruzione dell’identità individuale e collettiva.
Una cooperativa, ad esempio, è più di un gruppo. È qualcosa di diverso da una famiglia. Non è solo una comunità. Per descriverne le dinamiche questi concetti non sono sufficienti. Ma se si guarda ad essa come ad una rete sociale si riesce – grazie a questo paradigma interpretativo – a coglierne dinamiche e processi in maniera particolarmente efficace. Le reti sociali sono infatti costrutti interpretativi in grado di descrivere particolarmente bene le dinamiche e la complessità della nostra società.
Reti sociali incontrano Internet
Verso la fine del secolo scorso, poi, le reti sociali hanno incontrato la rete Internet, ed è stato subito un vero e proprio idillio: quale contesto migliore per sviluppare le applicazioni delle reti sociali se non quello che si basa a sua volta su una rete? Reti sociali e reti informatiche condividono infatti la loro struttura costitutiva, fatta di “nodi” (di volta in volta computer, persone o informazioni) e di “archi” (ossia connessioni) che li collegano.
Il concetto di Social Network, quindi, nel nuovo millennio esce dalla sociologia ed entra nella società. Diviene il termine con il quale si identificano quei sistemi che, basandosi sulla rete Internet per mettere in contatto le persone e l’analisi delle reti sociali per descrivere le dinamiche di questo contatto, sviluppano nuovi modelli di comunicazione e di servizio. È l’era di Facebook, di Twitter, di Instagram.
Reale, virtuale oppure?
Un’era in cui nella comunicazione non si può più parlare di “reale” e di “virtuale”, ma – al più – di “analogico” e “digitale” vissuti ed agiti dalle persone in un contesto di sostanziale continuità relazionale. Non esistono più – come agli albori dell’informatica – le amicizie “reali” e quelle “virtuali”, ma si sviluppano relazioni che si estendono tanto in rete (on-line) quanto fuori di essa (off-line). Un’era che vive una dimensione di cambiamento che riguarda tutti.
Basta un dato per comprendere l’impatto di questo fenomeno: oggi più della metà degli italiani sono su Facebook – solo uno dei Social Network Site esistenti, ma tra i più importanti – e vi passano in media quasi due ore al giorno collegandosi tutti i giorni. Sarebbe ingenuo e semplicistico pensare che ciò sia solo uno svago o il rifugio di quanti hanno poco da fare. Le persone con questi strumenti si relazionano, si informano, sviluppano le proprie opinioni sulla politica, sull’economia, sulla società. Prendono decisioni d’acquisto. Insomma: vivono. Vivono una vita nella quale le dinamiche della comunicazione sono profondamente diverse rispetto al passato. Un cambiamento in cui ci sono aspetti positivi e non mancano quelli negativi.
Le recenti vicende legate alle elezioni americane ed a Cambridge Analytica non hanno fatto altro che portare sui media di larga diffusione ciò che era ben noto agli esperti: strumenti come Facebook ed i suoi epigoni richiedono una profonda riflessione su privacy, proprietà dei dati degli utenti, possibilità di controllo o di condizionamento. Ma nel contempo aprono nuove possibilità per le aziende, che non possono permettersi di restare fuori da questo cambiamento, pena il rischio di uscire – letteralmente – dal mercato.
Se i Social Network Site come Facebook rappresentano nuove piazze, nuovi luoghi d’incontro e nuovi strumenti di costruzione dell’opinione e del consenso è evidente come tali piazze vadano presidiate, comprendendone le dinamiche e capendo come tali dinamiche impattino sui processi organizzativi ed aziendali, sulla comunicazione, sul marketing, sui servizi. Perché se è certo che questi nuovi contesti pongono le aziende di fronte a nuove sfide è altrettanto certo che non cogliere le opportunità di tali contesti non fa che aumentare il rischio che si resti vittime delle minacce che, parimenti, questi strumenti si portano dietro.
Stefano Epifani