L’economia dei dati impatta sull’economia italiana per un importo pari a 28,4 miliardi di euro (l’1,52% del PIL nazionale), con un valore del mercato dei dati in Italia che dovrebbe superare i 6,3 miliardi di euro da qui al 2020, crescendo ad un tasso medio annuo dell’8,3%. I Big Data, che cresceranno da qui al 2026 ad un tasso del 13% medio annuo, stanno modificando profondamente le “rotte dei consumatori” che una ricerca I-Com dal titolo Verso l’isola del tesoro – le rotte dei consumatori tra protezione e mercato e la mappa ha provato a “mappare”.
Lo studio, che ha coinvolto 42 aziende attive in diversi settori industriali, mette in evidenza come il maggior potenziale associato ai Big Data sia da ricercare nel Data-to-Management, che richiede però un impegnativo cambiamento verso il data-driven decision-making all’interno delle imprese, con uno sforzo organizzativo importante e di difficile applicazione. Ancora scarso in Italia ma anche negli altri Paesi UE il cosiddetto Big Data Analytics (BDA): i dati Eurostat rilevano che solo il 9% delle imprese italiane, nel 2016, ha utilizzato strumenti di BDA, poco meno d’altra parte della media UE (10%); la performance migliore in questo senso viene registrata da Malta e Paesi Bassi, dove comunque solo circa un’impresa su cinque fa uso di tali strumenti.
Tra i limiti rilevati dalla ricerca che rischiano di rallentare se non frenare lo sviluppo delle imprese commerciali ci sono la mancanza di competenze critiche utili a formare profili professionali specifici (quali Data Scientist, Data Architect ed esperti in Data Management); una carenza di investimenti in infrastrutture adeguate a sostenere il nuovo paradigma tecnologico (reti veloci, 5G, infrastrutture di sicurezza); la scarsa attenzione a privacy e sicurezza del dato; la proprietà del dato; il cosiddetto data divide, ossia quel gap che va generandosi tra coloro che utilizzano ampiamente gli strumenti digitali e coloro che, facendo un uso molto marginale (se non nullo) di dispositivi digitali e producendo dunque una quantità di dati molto contenuta, rischiano di vedere le proprie esigenze, i propri valori e le proprie opinioni poco rappresentate.
Gran parte delle società intervistate secondo I-Com ha già un’area dedicata ai consumatori (l’86%) ed il 37% del campione prevede un aumento del proprio investimento di risorse finanziarie ed umane in Big Data nei prossimi 3 anni di almeno il 50%. Per ciò che concerne il canale digitale, il principale strumento utilizzato dagli utenti/clienti nel rapporto con le imprese rimane il tradizionale sito internet (51%), l’utilizzo del mobile/smartphone (25%) e i social media con il 12%. Ancora poco diffuso l’uso di chat-bot, che si ferma al 5%.
Rispetto alla raccolta dati, le imprese intervistate incentivano il cliente a rilasciare maggiori dati garantendo servizi aggiuntivi rispetto all’offerta base (61%) o attraverso fidelity card (41%). I dati ottenuti vengono poi utilizzati soprattutto ai fini di profilazione del cliente e sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
Come cambia la rotta dei consumatori con l’Intelligenza Artificiale?
Le opportunità dell’AI sono davvero importanti, anche se ancora poco sfruttate dalle imprese. In ambito commerciale, in particolare, l’Intelligenza Artificiale migliorerà l’attività di profilazione dei clienti e la personalizzazione del prodotto. Una ricerca Narrative Science rivela che le aziende implementano soluzioni di l’Intelligenza Artificiale principalmente per fare analisi predittive (38%), eliminare mansioni ripetitive e pericolose grazie all’ausilio della robotica (27%) e monitorare e valutare le attività aziendali (14%). Secondo IDC i ricavi mondiali derivanti dalle applicazioni di Intelligenza Artificiale e Cognitive Computing raggiungeranno circa 13 miliardi di dollari per fine 2017 ed entro il 2020 saranno superiori a 46 miliardi di dollari.
In Italia, dai dati della ricerca emerge che il 59% delle imprese si dice favorevole all’adozione di sistemi di Intelligenza Artificiale, nonostante il 46% del campione non abbia attualmente in funzione alcun dispositivo di AI. Il 33%, al contrario, fa utilizzo di chat-bot. Il 37% degli intervistati vede nel customer care la funzione aziendale che più si presta ad essere integrata o sostituita da dispositivi di Intelligenza Artificiale ed il 38% immagina che entro tre anni i sistemi di IA possano svolgere alcuni lavori nella propria azienda.
Come avviene con tutte le tecnologie “disruptive”, le imprese non sono esenti da timori: il 22% del campione, ad esempio, teme per il regime di responsabilità civile e penale e il 19% per la protezione dei dati personali, oltre che per questioni di natura etica (17%).
Cosa aiuterebbe le imprese a disegnare meglio le rotte attraverso il digitale?
Diverse le cose su cui insistere secondo il rapporto: continuare a spingere sull’infrastrutturazione, ed in particolare sulla fibra ottica e sul 5G; sostenere una rapida implementazione di politiche di sostegno all’acquisizione delle skill digitali e all’accesso alle tecnologie abilitanti; favorire la digitalizzazione dei modelli di business sia dell’industria che dei mercati, ossia far sì che il modo di offrire prodotti o servizi diventi, da analogico, digitale; porre in essere campagne di sensibilizzazione tese, da un lato, a far comprendere ad imprese e cittadini/consumatori le enormi opportunità connesse alla digitalizzazione, senza dimenticare i rischi, a partire dalla sicurezza informatica.
Sonia Montegiove