PEOPLE | 29 Gen 2019

Blockchain chiama standard: intervista ad Andrea Caccia

Il presidente della Commissione UNI/CT 532 sul Blockchain spiega perché è importante standardizzare una tecnologia sempre più diffusa.

Una spesa mondiale pari a 1,5 miliardi di dollari nel 2018, con una crescita del 103% rispetto al 2017. È quanto emerge da un nuovo studio della IDC su Blockchain. Nonostante siano ancora poche (il 9%) in Europa le aziende che dichiarano di portare avanti progetti pilota o averne in produzione, gli investimenti in blockchain sono raddoppiati rispetto al 2017 raggiungendo nell’Unione Europea i 560 milioni di euro.

Grande attenzione a questa tecnologia emergente a livello europeo dunque, ma anche una crescente esigenza di standardizzazione, visto che sempre più si parla di Distributed Ledger Technologies in applicazioni che vanno oltre quelle riferibili alle criptovalute.

L’uso massivo di Blockchain – afferma Andrea Caccia, presidente della commissione UNI/CT 532 e del Focus Group CEN/CENELEC Blockchain and DLT – è stato nell’ambito delle criptovalute, ognuna delle quali nata spontaneamente e operante in modo rigorosamente autonomo e privo di qualsiasi forma di centralizzazione. Le esigenze di standardizzazione erano in pratica completamente soddisfatte dalla condivisione del codice del software utilizzato. Stanno emergendo e si stanno consolidando utilizzi molto interessanti delle tecnologie BDLT, che promettono di abbattere i costi nei casi in cui per garantire la certezza delle transazioni o l’origine, l’integrità e l’autenticità delle informazioni, si farebbe ricorso a strutture centralizzate costose e poco flessibili. La disponibilità di standard per infrastrutture basate su BDLT svolge un ruolo abilitante fondamentale in quanto, a differenza del caso delle criptovalute, le esigenze fondamentali qui sono la possibilità di integrare servizi e applicazioni gestite da soggetti diversi, dando a tutte le parti interessate garanzie sufficienti di disponibilità, integrità e origine delle informazioni e delle transazioni”.

L’importanza alla standardizzazione è riconosciuta in Europa dalla Risoluzione del Parlamento UE del 3 ottobre 2018 e dal lavoro che stanno svolgendo due dei tre Enti di standardizzazione riconosciuti a livello europeo, CEN e CENELEC:  questi due comitati hanno infatti avviato un focus group finalizzato a individuare esigenze specifiche in tema di standardizzazione, mappandole sulle attività in corso a livello internazionale in ISO e hanno da poco pubblicato il white paper Recommendations for Successful Adoption in Europe of Emerging Technical Standards on Blockchain and Distributed Ledger Technologies, sviluppato sotto la guida di Pietro Marchionni di AgID.

Gli standard – continua Caccia – possono svolgere un ruolo chiave e abilitante, in quanto cercano di dare una risposta a questioni come la garanzia di livelli di sicurezza adeguati, rendendo comparabili le caratteristiche di sicurezza di un’infrastruttura basata su BDLT a una tradizionale. Questo permetterebbe alle parti interessate una valutazione del rischio, la conformance legale in aree come privacy e identità digitale, considerando che in Europa ci sono regolamenti molto stringenti, il GDPR e lo eIDAS). Inoltre, per quel che riguarda il problema dell’interoperabilità, dovrebbe consentire l’utilizzo di questa tecnologia in contesti tipicamente internazionali, dove coesistono numerosi attori che devono interagire con ruoli differenti”.

Quali sono le difficoltà per lo sviluppo di standard?

In ambito BDLT lo sviluppo di standard presenta difficoltà da non sottovalutare: si tratta di un mercato con potenzialità elevate ma immaturo, dove le uniche applicazioni su larga scala sono a oggi le criptovalute, un fenomeno nato dal basso e piuttosto refrattario a regole imposte dall’esterno. Inoltre si tratta di tecnologie tipicamente “orizzontali” e gli standard devono poter supportare da un lato una elevata molteplicità di applicazioni in ambiti disparati, dall’altro la compliance a regole comuni, come i già citati GDPR ed eIDAS. Queste difficoltà non dovrebbero però far prendere strade all’apparenza più rapide e facili, che porterebbero alla frammentazione del mercato, che favorirebbe solo i grossi fornitori di tecnologia mettendo fuori gioco le PMI, prevalenti in un contesto come quello europeo e soprattutto italiano”.

In questo contesto, come dovrebbe muoversi il nostro Paese?

Pensando al contesto italiano è fondamentale che qualunque intervento tenga conto della collocazione europea dell’Italia e di tutte le numerose iniziative della Commissione Europea. Ad esempio, interventi normativi disallineati con il Regolamento eIDAS (e lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale) rischiano di introdurre elementi di confusione in grado di frenare l’uso di queste tecnologie invece che promuoverlo. Le imprese hanno bisogno di un quadro normativo stabile per programmare gli investimenti: è indispensabile che i provvedimenti legali creino le giuste condizioni senza introdurre vincoli tecnici che rischiano da un lato di bloccare l’innovazione, dall’altro di richiedere continui interventi di adattamento per “rincorrere” la tecnologia, vanificando così la ragione principale per cui i provvedimenti stessi vengono adottati”.