MARKET | 19 Giu 2018

Chi ha paura dei KPI?

Dati e strumenti di misurazione in equilibrio tra quantità e qualità

KPI, ovvero Key Performance Indicator, acronimo che nella nostra lingua si presta a due dizioni simili: indicatore chiave di prestazione (ICP) o indicatore essenziale di prestazione (IEP). In pratica i KPI sono definibili come indicatori quantitativi o qualitativi utilizzati per valutare l’andamento delle performance: si scelgono (o si dovrebbero scegliere) le variabili critiche dei processi aziendali e si fissa un obiettivo per poi essere in grado di misurare lo scostamento.

Confrontandosi con un numero/valore si può facilmente comprendere il gap tra i risultati attesi e quelli effettivi; per esempio con i KPI si può dare un valore di riferimento alla soddisfazione del cliente, si possono impostare delle metriche sui tempi di risoluzione di un ticket, sul numero di visite; insomma, si può impostare un numero, raffrontarlo con un altro e valutare il differenziale.

E, a ragionarci bene, questa cosa – per quanto interessante – ha, se male utilizzata, il suo lato oscuro. Molto oscuro. Perché KPI possono non fare rima con performance di valore, né con iniziativa.

Il lato oscuro dei KPI

A scatenare questa riflessione una fila fatta di recente agli imbarchi in aeroporto. In quell’occasione, la gentilissima hostess che controllava il passaporto e mi rendeva la carta d’imbarco, tra un sorriso e l’altro, dava spesso un’occhiata a qualcosa all’altezza del suo terminale. Un occhio a me, un occhio al PC. Insieme alla carta d’imbarco mi ha consegnato il suo miglior sorriso 32 denti, chiedendo: “Sarebbe così cortese da selezionare (e mi indica uno di quei totem con i pulsanti con le faccine) come ha percepito il servizio?”

Ora, come ho percepito il servizio? Onestamente? Normale.

Hai fatto il tuo lavoro, sei stata cortese, ho la mia carta d’imbarco, sto per cliccare la faccina neutra, ma lei mi guarda e sussurra “Sa, ultimamente contano più i click che abbiamo su questo totem, insieme al tempo cronometrato (ed ecco cosa controllava!), che tutto il resto!”

Allora io pigerò un sorrisone, ma in cambio (con il dito proiettato sulla faccina che sorride) chiedo: “E che succede se un cliente ha un problema?” E lei, candida: “Si cerca di girarlo a qualcun altro” ovvero un cliente che ti occupa tanto tempo ti allontana dal tuo KPI.

Quindi, se il personale fa il suo lavoro normale, in tempi dignitosi, applausi e pacche sulle spalle, ma se una persona impiega tempo ed energie per risolvere un problema a un cliente, la penalizziamo?

Il KPI quantitativo disaccoppiato da quello qualitativo è un fallimento.

KPI e fallimenti

A Roma, recentemente, il TAR ha accolto (a mio avviso fortunatamente) la richiesta del Sindacato Unico di Medicina Ambulatoriale Italiana, che si era ribellato al “Tempario delle presentazioni” ovvero ad una tabella che stabiliva il numero di minuti che dovevano essere impiegati per alcuni esami specialistici.

Ora, tutti d’accordo circa l’ottimizzazione del lavoro e il controllo dell’efficienza finalizzata a minimizzare i tempi morti, ma una tabella no. Una tabella che dice che il medico ha 15 minuti per un elettrocardiogramma, 20 minuti per una visita neurologica o oncologica, no. Perché non ne guadagna l’efficienza. Ne perde l’efficacia, la professionalità e il risultato.

Il raggiungimento dell’eccellenza passa spesso per mille errori, per tentativi, per approssimativi cerchi concentrici. Mi mette in difficoltà pensare alla standardizzazione del valore, che – in alcuni casi – potrebbe rappresentare un appiattimento delle eccellenze che tanto ricerchiamo.

Ora, non voglio dire che i KPI quantitativi siano il male, voglio dire che dobbiamo saperne individuare (e usare) il reale valore.

Non voglio confrontare la qualità del lavoro che faccio con la quantità del lavoro che devo fare. Sono entrambi elementi importanti ma hanno variabili temporali totalmente diverse.

KPI ed eccellenze

Tanto per portare un esempio, si può pensare ai KPI che controllano le macchine, come per esempio l’OEE (indicatore dell’efficienza generale dell’impianto), una metrica ottenuta attraverso più variabili, considerato come uno degli indicatori più “esigenti” in quanto condizionato da tutte le tipologie di inefficienze che portano ad una minore produttività. Può rappresentare – anche grazie alla BI – lo stato di salute di un impianto di produzione, analizzando tutte le eventuali dissonanze dagli indicatori di “ottima performance”. Questo è un KPI egregio, poiché il livello ottimale coincide con l’espressione massima di efficienza.

Anche i KPI obiettivi, quelli che tracciano una variabile numerica sono un’ottima possibilità di fare, metaforicamente parlando, il punto nave. Soprattutto nel marketing, oggi, abbiamo la possibilità di tenere sotto controllo dati che, prima, erano assolutamente impensabili da monitorare.

Misurare quantità e qualità

I KPI quantità-qualità sono quelli in cui uno è l’abilitatore dell’altro, e l’obiettivo è raggiunto solo se entrambi lo validano. È il caso, per esempio, del controllo numerico dei ticket chiusi da un help desk affiancato dal valore che il cliente ha dato alla risposta ottenuta. Questo valore deve essere controllato non simultaneamente alla chiusura del ticket, ma in un secondo momento, quando il sistema invia al cliente una mail automatica per chiedere se la soluzione fornita ha funzionato e se il ticket può essere considerato chiuso, chiedendo anche un rating di soddisfazione.

Dare al cliente il tempo di verificare la soluzione proposta, e chiedere un feedback dopo la soluzione inviata, e farlo con un sistema automatico dà la possibilità al cliente di rispondere con coscienza e obiettività.

KPI e condivisione

Un altro elemento critico è la condivisione del KPI, ovvero la possibilità per le aree che saranno sottoposte a questi obiettivi di analizzare e commentare preventivamente il dato, per fornire il loro contributo e validare un KPI realistico, misurabile e inserito nel contesto corretto.

Insieme a questo vanno definiti con lo staff i punti di partenza, gli step di controllo e il punto di misurazione ultimo, insieme a quando e da quale sistema sarà prelevato il dato di verifica.

In conclusione?

Dal mio punto di vista – aziendalmente parlando – le attività non possono essere portate avanti senza controllo, ovvero al di fuori di un contesto in cui sia possibile determinarne l’efficacia. Ma l’efficacia è e deve essere sempre quantità + qualità (a volte molto sbilanciata verso la qualità).

In fisica la retroazione o retroregolazione (feedback in inglese) è la capacità di un sistema dinamico di tenere conto dei risultati del sistema per modificare le caratteristiche del sistema stesso. Il principio di “controllo a retroazione” prevede che un sistema, per funzionare, abbia bisogno di continui riscontri che ne valutino il comportamento. Pertanto il “valore della variabile in uscita dal sistema deve essere letto dal controllore che agisce modificando l’ingresso del sistema”.

La fisica insegna, la qualità deve accompagnare.

Simona Piacenti