Quando si parla di cognitive computing si fa sempre un rapido parallelismo con Intelligenza Artificiale ovvero, come scrive qualcuno, macchine in grado di ragionare da sole. In realtà la cosa è probabilmente più complessa e le opportunità che offre per le aziende forse ancora poco percepite.
Le tecnologie di cognitive computing, grazie all’analisi di grandi quantità di dati non strutturati (big data), portano all’apprendimento autonomo (machine learning) quindi alla possibilità per le macchine di ragionare, comprendere, elaborare e usare il linguaggio naturale dell’uomo. Macchine in grado di restituire informazioni utili perché in grado di auto-apprendere imparando da fatti successi e dati raccolti. Il tutto non necessariamente emulando il cervello umano e replicando ciò che l’uomo è in grado di fare da solo, ma aumentandone le capacità di ragionamento.
Quanto le aziende sono pronte a cogliere le opportunità?
Nonostante la grande quantità di dati raccolta dalle imprese oggi e il desiderio di utilizzarli per migliorare i risultati finanziari e poter comprendere meglio le esigenze dei clienti, al momento attuale solo il 24% dei Chief Marketing Officer e sales leader pensa di mettere in atto strategie per implementare soluzioni di cognitive computing. Percentuale che si eleva al 63% quando si guarda ai prossimi tre anni e al 91% se si parla generalmente di “futuro”. Questo quanto emerge dallo studio condotto da IBM e Oxford Economics “From data deluge to intelligent insights: Adopting cognitive computing to unlock value for marketing and sales“, basato su un sondaggio che ha coinvolto 525 Chief Marketing Officer e 389 responsabili vendite a livello globale.
Il 61% degli intervistati considera “disruptive” il cognitive computing, con alcuni che guardano maggiormente ai possibili problemi e altri focalizzati sulle opportunità che, nel caso del marketing e delle vendite, sono da individuare nel miglioramento della capacità di comprendere i bisogni dei clienti, nella possibilità di intercettare nuovi target, nell’incrementare la qualità e puntualità dell’assistenza, nell’anticipare i bisogni dei clienti e molto altro ancora.
Come introdurre il cognitive computing in azienda?
Per sfruttare al massimo le potenzialità del cognitive computing tre sono le aree in cui agire: tecnologica, culturale e quella che mette al centro le persone. Non basta, infatti, concentrarsi sugli aspetti tecnologici come spesso fanno le aziende, ma è necessario elaborare una strategia che tenga conto anche di altro.
TECNOLOGIA
Cloud. Il cognitive computing è una tecnologia basata sul cloud, pertanto averlo adottato in azienda sarà un requisito indispensabile. Da questo punto di vista, lo studio rivela che al momento attuale il 72% degli intervistati ha pianificato investimenti in spazi di archiviazione cloud-based, con un 76% che lo farà nei prossimi tre anni. Non basterà certo una soluzione cloud a consentire un facile accesso e un’agevole analisi dei dati, visto che il tutto dovrà essere inserito in una strategia tanto più pianificata e definita quanto più l’azienda adotterà modalità di gestione che porteranno alla raccolta di grandi quantità di dati.
Raccolta e analisi dei dati. Non si può parlare di cognitive computing se non si parla di Data Management, ovvero della possibilità di avere a disposizione dati raccolti internamente ed esternamente all’azienda, strutturati o no e di diversa tipologia. I dati, come si legge nel report, sono il tessuto connettivo dell’azienda e il 71% degli intervistati dice di aver avviato un processo di Data Management che va a studiare i dati commerciali, quelli generati dai clienti o che arrivano dai social, da eventi, da applicazioni mobile e da oggetti (IoT).
CULTURA
Ogni cambiamento considerato di tipo tecnologico nasconde un cambiamento di tipo culturale che è probabilmente quello più difficile da gestire proprio perché troppo spesso trascurato.
Collaborazione e innovazione. Il potenziale delle tecnologie di cognitive computing si esprime nella capacità di analizzare molteplici tipologie di dati in un processo di apprendimento continuo derivante da nuovi dati e nuovi feedback. Se un’azienda lavora per compartimenti stagni questo ovviamente non sarà possibile. Ecco perché per beneficiare delle ricadute positive del cognitive computing è necessario prima di tutto introdurre una cultura aziendale basata sulla collaborazione, sull’apertura, sullo scambio. Una cultura che deve portare Chief Marketing Officer, responsabile vendite, Chief Information Officer, Chief Technology Officer, Chief Data Officer o Chief Digital Officer a confrontarsi e collaborare per realizzare insieme gli obiettivi strategici aziendali.
Strategia e governance. Solo il 24% degli intervistati afferma di aver elaborato in azienda una strategia rispetto all’introduzione del cognitive computing in cui si evidenzino gli investimenti e il ROI. Approccio invece assolutamente auspicabile e utile a delineare gli impatti sui modelli di business, sui processi, sui clienti e sui dipendenti. Avere una cultura della pianificazione e quindi della governance di eventi “disruptive” come questo servirà alle aziende a non fare un salto nel vuoto.
PERSONE
L’impatto di tecnologie come il cognitive computing sulle persone non è da sottovalutare in termini di nuove competenze e cambiamento nella conduzione dell’azienda.
Skills. Il 93% degli intervistati ritiene che l’introduzione del cognitive computing andrà a modificare profondamente la tipologia di competenze necessarie in azienda. I nuovi addetti dovranno possedere una prospettiva della strategia e dei piani aziendali e, nell’area marketing e vendite, ci sarà bisogno di business decision making, content creation, market research, solo per citare alcuni dei profili richiesti.
Leadership. Il 93% degli intervistati concorda sul fatto che il cognitive computing potrà facilitarne il lavoro a patto però che le persone possano essere accompagnate nell’introduzione di queste tecnologie. Il fatto di non avere in azienda persone dedicate al Data Management e alla Digital Transformation, che sappiano supportare gli altri è rilevato come un problema non banale da gestire.
Sonia Montegiove