TECH | 18 Gen 2018

Dati come tesoro nello sport

Come i dati aiutano a scegliere il migliore giocatore?

“Le persone a capo delle squadre pensano solo a comprare giocatori,
ma lo scopo dovrebbe essere comprare vittorie.
E per farlo devi comprare punti… fanno tutti le domande sbagliate,
e se lo dico a qualcuno, divento un lebbroso”
.

Così si esprimeva Peter Brand nel film ‘L’arte di vincere’, portando la voce di Paul DePodesta, laureato in economia ad Harvard e baseball and football executive. In breve, sottolinea che i dati possono portare ad ottenere vittorie e sono facilmente disponibili, ma la concentrazione dei più rimane purtroppo ancorata ad una visione non sistemica, basata sui singoli giocatori nella convinzione che comprare campioni significhi immediatamente vincere. Quello che conta di più, invece, è la combinazione delle caratteristiche dei singoli in un sistema dinamico complesso. Una problematica del 2002 che oggi, a distanza di quasi due decenni, possiamo superare.

Da sempre il mondo dei dati è guardato con sospetto dagli sportivi, percepito come una minacciosa incognita che può solo togliere lavoro alle figure decisionali. In Italia siamo ancora molto distanti dai modelli vincenti d’oltralpe e d’oltreoceano ed il recente addio ai mondiali (temporaneo) della nazionale italiana è solo uno dei tanti esempi di una gestione conservativa dell’alveare dei talenti sportivi. Per settimane sui social media si sono susseguiti commenti che attribuivano l’eliminazione alle più disparate ragioni (razziali, economiche e altre anche molto fantasiose) ma credo che la ragione vada piuttosto ricondotta alla comprensione limitata del potenziale di un buon sistema di tracciamento e valutazione sportiva, ormai insufficiente per competere nel panorama moderno.

Perchè l’italia si attarda?

Gran parte del problema deriva dalla strenua e anche apprezzabile difesa del fattore umano, di talento o artistico, impossibile da tracciare, che un giocatore può mettere in campo e che esprime sempre quel tanto in più che non potrà mai essere colto nella sua pienezza da numeri, calcoli o intelligenze artificiali. Seppur vero, è però chiaro che gli intangibles costituiscono ormai solo una piccola percentuale dell’informazione agonistica invece misurabile. È a quest’ultima che si rinuncia, soggiogati dalla paura che i numeri rovinino lo sport, per protezionismo e con grande miopia, visto che le analisi sportive hanno sul giocatore e sul gioco lo stesso impatto che ha il cronista radiofonico: descrivono solamente una situazione!

Nell’era della digital transformation è ormai assodata l’importanza del dato ai fini del business e le aziende stanno già da tempo compiendo un cambiamento significativo in tal senso, nella consapevolezza che una visione a medio-lungo termine necessita di informazioni di valore su cui costruire. Nel sistema sportivo italiano questo tipo di innovazione incontra resistenze come qualunque vero cambiamento che non si sente di poter governare fino in fondo. Il settore sportivo, da tempo diventato una vera e propria industria, non può però continuare con scelte strategiche basate (solo) su umori e sensazioni: gestire e analizzare i dati (con giusti processi e metodi) è l’unica strada sicura per ridurre i rischi e prendere decisioni consapevoli.

Ne è un chiaro esempio il 7 a 1 con cui la Germania umiliò il Brasile ai mondiali FIFA 2014: la Germania arrivò al mondiale dopo cinque anni di tracciamento maniacale dei migliori calciatori tedeschi e basò su quei dati e relative analisi le scelte tattico/strategiche. Un altro caso leggendario è la fenomenale storia vera di Billy Beane con gli Oakland A’s (2002) raccontata nel libro Money Ball, quando il general manager sul lastrico portò in finale di campionato la “squadra materasso” del baseball a stelle e strisce utilizzando i dati per trovare i giocatori giusti, non i più famosi: Beane basò la campagna acquisti e le strategie di gioco sulle statistiche, trovando il modo migliore per vincere partita dopo partita.

Esempi pragmatici

Analizzando casi concreti s’intuisce subito la potenzialità di questo mondo. Esiste un algoritmo di valutazione del talento sportivo, sviluppato in Italia per  il basket nel 2011 e poi portato al MIT nel 2016 che, sull’onda della rivoluzione di Billy Beane, ha lo scopo di trovare il giocatore “giusto” e non “il migliore”. Come dire, ogni coach individua con semplicità il giocatore migliore e peggiore del suo team e della squadra avversaria, ma faticherà a fare un ranking oggettivo dei restanti giocatori. Questo perchè li considererà in modo soggettivo e non oggettivo. Lo stesso farà un talent scout, anche se involontariamente. Una valutazione oggettiva, invece, consente di “catalogare” meglio l’atleta, conoscerne i pro e i contro, captarne e prevederne gli andamenti e definirlo in maniera tale da sapere quale tipologia di giocatore incarna. Sarà quindi più facile scoprire con chi poterlo sostituire o amalgamare nella costruzione di una nuova line-up, nelle ricerche di mercato, nella ideazione di nuovi schemi, e via discorrendo.

Nuovi ruoli descrittivi

A proposito dei ruoli dei giocatori, per citare un altro esempio, attraverso il machine learning basato sulle SOM (Self-Organizing Map) si possono assegnare nuovi ruoli, descrittivi e non nominali, per i giocatori di basket [min 18:20 di questo video]. Ci si lascia perciò alle spalle il generico “ala grande” o “playmaker”, per passare ad un “rim defensor” (giocatore con ottime doti di tipo difensivo, che staziona spesso nell’area colorata, che tira poco) o un “role player” (giocatore con buone percentuali offensive, un più o meno molto alto che permette al team di migliorare quando è in campo, che staziona nell’area del tiro da tre). Non è solo una nomenclatura, ma una definizione oggettiva dell’atleta sulla base delle azioni compiute. Come è facile intuire, per un allenatore, poter trovare un giocatore che abbia quelle precise caratteristiche (il giocatore giusto, appunto) è immensamente più utile della ricerca generica di un “centro” con un tipo di gioco opposto al “centro” con cui lo si vuole sostituire.

Non facciamoci spaventare

L’argomento è complesso, spaventa, ma si adatta a ogni disciplina e mette a disposizione di chi sta riscoprendo la forza delle analisi dei dati un buon numero di servizi già presenti sul mercato. Le ultime best practice concrete arrivano da Canada (piattaforma di analisi a supporto degli sport invernali) e Olanda (6Mln di € il prossimo anno per prevenzione degli infortuni attraverso i Big Data) ma la lista sarebbe lunga. È di poche settimane fa la notizia che l’azienda VolleyMetrics di Giuseppe Vinci (un italiano, ex-analista della nazionale italiana di volley) è stata acquisita dall’azienda leader nella match-analysis personalizzata: Hudl.

Il più recente famoso esempio italiano di virtuosismo legato ai dati sportivi è stato certamente il prof. G.P. Cervellera che ha conquistato gli organizzatori dell’Hackathon del Manchester city #hackmcfc. Nel nostro Paese, abbiamo parecchie giovani aziende e molti talenti nel mondo delle innovazioni sportive e chiunque ne sia alla ricerca può rivolgersi ad incubatori e analisti esperti come WyLab incubator di Vittoria Gozzi o Francesco Mantegazzini di Infront. Tuttavia nulla di organico e di incisivo è stato avviato realmente. Questo nonostante, sull’argomento, comincino a farsi strada discussioni sempre più consapevoli. Stiamo iniziando a farci le giuste domande.

Fare o non fare. Non esiste provare

Bisogna crederci. Affrontare un mercato, una situazione, facendosi supportare davvero dai numeri è una missione ardua ma per nulla impossibile. La vera domanda che tutti dovrebbero porsi prima di intraprendere questo percorso di cambiamento è: tu ci credi in questa storia o no?

Io non ho dubbi.

Paolo Raineri