SOCIETY | 12 Set 2017

Earth Observation: uso dei dati e modelli di business

Qual è il business generato dai dati raccolti dai satelliti?

Recentemente l’interesse verso i dati dell’Earth Observation e il loro sfruttamento è molto elevato, sia dal punto di vista dei benefici sociali, sia come volano di spinta per il settore industriale.

L’Agenzia Spaziale Europea con il programma Copernicus si muove verso una copertura globale della Terra con satelliti in grado di catturare sempre più parametri, generando una quantità incredibile di dati. Con l’obiettivo di coinvolgere il numero più alto di  utenti possibile, ESA ha cercato di sfruttare diversi approcci: dalle TEP (Thematic Exploitation Platform), gateway online suddivisi per area tematica che permettono ai ricercatori di elaborare rapidamente i dati EO, fino all’EO Marketplace, che permette alle aziende di offrire nuovi prodotti e servizi basati su dati Copernicus e altre fonti.

Se guardiamo più da vicino, tali approcci sono basati sul modello di business a pipeline, il cui successo dipende dall’ottimizzazione di attività all’interno della value chain che sono per la maggior parte di proprietà dell’azienda stessa. Al termine della catena del valore, il bene viene recapitato al consumatore finale. Si tratta, per chiarire, del modello di business che ha dominato in quest’ultimo secolo, adottato da Coca Cola a P&G o GE. Un approccio che permette azioni mirate a stimolare la domanda, costruire l’identità di brand e fare leva sui volumi di vendita alla ricerca di un vantaggio competitivo di costo.

Come cambia il modello di business con il digitale?

Tuttavia, qualcosa è cambiato con la rivoluzione digitale. Quest’ultima trova i suoi pilastri nelle forze che la compongono: digitalizzazione, ICT e connettività. Digitalizzare significa trasformare un documento, un’immagine, un suono o qualsiasi altro materiale analogico, in una sequenza binaria di 0 e 1 processabile da un computer. Il computer può archiviare l’informazione direttamente all’interno di un database e quindi condividerla (Information Technology), ovvero, può essere utilizzata anche sui processi (Information and Communication Technology) che diventano sempre più efficienti e che, sotto la spinta della diffusione del paradigma Internet, vanno a definire anche l’ultima forza della rivoluzione digitale: la connettività. Quest’ultima riguarda l’informazione veicolata online.

Il nostro è un mondo sempre più connesso e interconnesso e le due forze, legate all’informazione automatica (la cui unione letterale è “informatica”), permettono di immaginare un mondo in cui Internet può essere esteso agli oggetti, alle industrie e ai luoghi concreti diventando IoT (Internet of Things) e spalancando le porte a un universo di sfide e possibilità. Questa si chiama “rivoluzione” perché la trasformazione non può avvenire solamente “aggiungendo il digitale”, ma è necessario un cambiamento in cui l’ottica, i processi e l’azienda stessa diventino digitali integrando una cultura digitale a tutti i livelli.

A livello imprenditoriale lo scenario che abbiamo di fronte è quello in cui il lato della domanda assume un’importanza molto più rilevante e in cui il magazzino viene sostituito dall’interazione tra gli utenti che ne rappresentano la risorsa fondamentale. Non è quindi il controllo delle risorse a essere critico ma piuttosto il modo in cui si governano.

Le forze che si sono create nell’ultimo decennio funzionano tutte molto diversamente dal modello a pipeline. Ciò diventa evidente se pensiamo alle cinque leader dell’High Tech: Alphabet (Google), Apple, Facebook, Microsoft e Amazon. In ogni impresa dell’economia digitale, la piattaforma online e i suoi effetti di rete sono elementi di convergenza di questo cambio di paradigma che porta dal modello a pipeline a piattaforma. Da una parte, la piattaforma svolge il ruolo di aggregatore di contenuti in grado di soddisfare allo stesso tempo domande di natura diversa, mettendo insieme sia il lato produttore che quello consumatore; dall’altra quello delle esternalità (o effetti) di rete, ossia il fenomeno tipico che si verifica quando un utente crea valore per un altro utente. Così un servizio aumenta di valore con l’aumentare del numero di individui che vi interagiscono.

Un caso particolare delle esternalità di rete è rappresentato dal fenomeno delle esternalità di rete incrociate (il cosiddetto cross side network effect). Queste ultime non sono legate alla diffusione del prodotto tra membri dello stesso lato del mercato, ma alla diffusione del prodotto sull’altro versante. Un esempio tipico, per rendere l’idea, è quello delle consolle: videogiocatori-lato 1, sviluppatori videogame-lato 2; un utente su un lato attira più utenti sull’altro lato e viceversa. Se a queste caratteristiche si aggiungono altri punti di forza come il ruolo centrale che assume l’algoritmo nel suo fare matching tra gli utenti e i contenuti (sempre meglio al crescere dell’utenza), l’evoluzione dell’informazione tecnologica, la riduzione dei costi di transazione – che hanno reso superflua la necessità di tenere fisicamente un’infrastruttura o un asset – ecco che company come AirBnB o Uber sono state in grado di crescere e battere la concorrenza, rivoluzionando le regole della competizione.

Il motivo del loro successo? AirBnB ha dematerializzato le camere e Uber le auto di proprietà. Queste caratteristiche aiutano il modello di business a scalare più velocemente, ovvero a espandersi senza incontrare i limiti intrinseci di alcune risorse che per definizione sono scarse, come spiega anche S.P. Choudary, nel 2015, nel suo libro Platform Scale. Così come l’Internet Economy ha permesso a queste società volumi altissimi rispetto ai competitor, la Digital Transformation potrebbe prendersi carico, allo stesso modo, della massimizzazione dello sfruttamento dei dati dell’Earth Observation. L’utilità sociale di questi dati, opportunamente sfruttati, è potenzialmente enorme.

Utilità dei dati dell’Earth Observation: il caso di Villa Adriana

Un utilizzo dei dati in questione è stato fatto a Villa Adriana a Roma dove il progetto Artek-Satellite enabled services for preservation and valorisation of cultural heritage, evoluzione del progetto Videor – che ha coinvolto ESA, ASI e Nais, in collaborazione con l’ISCR – Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro – ha dato vita a un sistema di monitoraggio continuativo, aggiornabile e consultabile via web, con l’obiettivo di salvaguardare il patrimonio culturale attraverso i potenti occhi dei satelliti in grado di individuare i beni potenzialmente a rischio. Il progetto aiuta a capire come si sviluppa il flusso dei visitatori all’interno del sito archeologico e permette quindi di individuare gli elementi di maggiore interesse e i percorsi più idonei. Artek non è accessibile solo agli addetti ai lavori ma anche al pubblico che può consultare informazioni e osservare la dimora di Adriano dall’alto. Ciò rende possibile per il futuro lo sfruttamento di sponsorizzazioni tramite advertising su applicazioni per dispositivi mobili che possono rappresentare un importante sostegno economico.

Un’ulteriore applicazione è quella emersa dopo l’analisi dei dati raccolti dai satelliti della missione Smos atti a fare prevenzione del rischio di invasione delle locuste per tutelare i raccolti e ottimizzare i pesticidi addirittura con un anticipo previsionale di 2-3 mesi.

Quali servizi utili alla società e alle imprese si potrebbero sviluppare?

Cosa potrebbe accadere ai dati ESA e al mondo dell’EO se il modello a piattaforma fosse adottato in questo mercato? Quanti sviluppatori, data scientist e imprese potrebbero essere attirate dalla presenza di utenti sull’altro versante da servire? E se gli utenti stessi potessero partecipare al processo di creazione di contenuti come avviene con l’Idea Management? Sono questi i quesiti cui dobbiamo dare una risposta. Gli scenari di dibattito sono molteplici e forse non è così peregrina l’idea di un modello a piattaforma anche nel settore dell’EO.

Nel frattempo, colossi come Google e Amazon sono pronti a irrompere nel mercato. Google, tra l’altro, con servizi come Google Maps, Google SOS Alerts, è stata e sarà in grado di generare benefici concreti per la società al contrario di quanto fatto finora da altri enti, probabilmente per la lucidità, l’expertise che possiede e per la forza di poter immaginare e realizzare certi progetti. Se usate Google Maps vi renderete conto del potere di calcolo, della pulizia dell’interfaccia, della semplicità, dell’intuitività, del concetto di anticipare il bisogno dell’utente; caratteristiche queste che da sempre hanno contraddistinto i prodotti Google. Inoltre, Google Earth Engine che sfrutta i dati dell’Earth Observation di ESA, NASA ed altri enti, mette a disposizione un Cloud Storage che tratta petabyte (1 biliardo di byte) di dati satellitari pubblici e ingloba sempre più dataset. È quasi sicuro che tali dati, gli algoritmi (anche grazie alla collaborazione degli utenti), i servizi generati, saranno sfruttati in più applicazioni all’avanguardia della stessa Google, ad esempio nell’ambito dell’auto a guida autonoma.

Il progetto Google self-driving car (ora diventato Waymo), potrà essere nel contempo sia asset complementare, campionando informazioni come l’inquinamento, lo stato delle strade, lo stile di guida o tutto quello che andrà a popolare il database, che utilizzatore dei dati dell’osservazione della Terra, informando su congestioni di traffico, situazione metereologica, ecc. È evidente che lasciare a Google o a altri colossi americani anche questo settore significherebbe continuare a concentrare enormemente il sapere sul nostro Pianeta (e su di noi) e concedere loro ancora più dati da analizzare.

Forse, in chiave europea, sarebbe necessario accelerare nel settore dell’EO, concretizzando iniziative che l’ESA cerca comunque di portare avanti, valutando seriamente la possibilità di sfruttare un modello a piattaforma che sia in grado di crescere velocemente e, soprattutto, di attrarre sviluppatori, data scientist e utenti mediante un sistema di incentivi che stimoli l’uso, l’interazione, lo scambio di valore all’interno della piattaforma. In questo modo si facilita il raggiungimento della massa critica, ovvero quel numero di utenti che rende conveniente l’utilizzo di un determinato bene. Una cosa dalla quale non si può prescindere è sicuramente la conoscenza del mercato finale, dei bisogni degli attori coinvolti, della disponibilità a pagare. Se però l’evidenza sarà che la massa di utenti interessati è cospicua, ma con minima disponibilità a pagare il servizio, allora sarà necessario avere un grande distributore. Quest’ultimo potrà essere il Google di turno o una media company che, in cambio di altro tempo dedicato dagli utenti tra i loro servizi e in cambio dei dati generati dagli utenti, sarebbe disposto a offrire servizi gratuitamente, di fatto, sussidiando l’utilizzatore.

Quale il futuro dell’EO?

Tra le novità da casa ESA c’è quella di ridurre enormemente il gap temporale tra il momento in cui il dato viene acquisito e quello in cui viene immagazzinato e reso disponibile. Forse potrebbe essere questo il vantaggio competitivo che l’Agenzia Spaziale Europea potrà sfruttare, permettendo l’utilizzo dei dati anche in servizi che fino a ora, a causa del ritardo di ore, erano preclusi. Non vi è però solamente l’incognita dei grandi attori e il modello di business che li coinvolge a rendere incerto il futuro dell’EO, ma anche il fenomeno dei prodotti sostituti che non è da sottovalutare.

Tanti dati catturati dai satelliti potrebbero soffrire della concorrenza rappresentata da sensori diffusi che potrebbero catturare, con minor costo e più velocità, gli stessi dati (o simili, in grado comunque di soddisfare le esigenze di utilizzo). Ad esempio, se in futuro i nostri smartphone avessero un sensore in grado di valutare la presenza di agenti inquinanti nell’aria e fossero abbastanza capillari – un esempio questo per estendere il concetto anche ad altre informazioni potenzialmente intercettabili da sensori non spaziali montati su oggetti smart –, potrebbero rendere superflui alcuni tipi di satellite. Questi sensori sembra che siano già disponibili e potrebbero essere embedded sui nuovi smartphone, è logico allora chiederci: ha ancora senso il lancio di Sentinel-5p (che sarà in grado di monitorare la qualità dell’aria e il livello di inquinamento) che è stato posticipato a questo settembre?

Rimangono più difendibili servizi che necessitano di una visione ad alta definizione dall’alto. La partita che si sta giocando in questo periodo è una sfida importante che getterà le basi per moltissimi servizi futuri sia per la società che per le imprese. È fondamentale fare una valutazione puntuale dei prodotti sostituti attualmente esistenti e di quelli futuri e capire come si sta evolvendo la tecnologia in questo ambito. È inoltre centrale capire quali bisogni possono essere soddisfatti a partire dai dati raccolti, quali manipolazioni necessitano e chi sono gli attori che sfrutteranno i servizi colmando i loro bisogni. Per capire quale modello di business sia più opportuno utilizzare si può adottare un approccio di questo tipo: mettere a matrice i prodotti derivanti dall’osservazione della Terra con i segmenti di mercato che potenzialmente possono esservi interessati. Ogni casella della matrice può essere opportunamente pesata con la grandezza del mercato e la difficoltà nel realizzare quel dataset offrendo quel determinato servizio.

Se vi sono tanti grandi utenti con alta disponibilità a pagare, l’approccio che sta utilizzando ESA, cioè a pipeline, è quello giusto. La catena del valore arriverà fino al cliente finale che la ripagherà. Al contrario, se i più grandi mercati sono formati da utenti che non hanno intenzione di pagare, allora il modello vincente è quello a piattaforma e allora è evidente la necessità di un player che funga da distributore e che, a fronte di un certo tipo di valore datogli dagli utilizzatori, sia disposto a offrire il servizio. Stiamo parlando di un Google, Facebook o la media company di turno. Questo rappresenterebbe un win to win per il mercato, ma riaccenderebbe anche il problema della concentrazione del valore dei dati degli utenti se l’azienda in questione non fosse europea.

Presto scopriremo se l’Europa saprà sfruttare i suoi asset e proporre un modello vincente, anche per decentralizzare il mercato digitale, oppure se a trainare la diffusione del Big Data dell’Earth Observation sarà l’America. Sempre che il mercato dell’EO continui a crescere e non incontri altri ostacoli. Da una proiezione al 2030, infatti, è risultato che circa l’80% della domanda dei dati EO sarà ancora della Pubblica Amministrazione e ciò sarebbe poco sostenibile. Bisognerà quindi cercare di favorire il cosiddetto user uptake, semplificando l’accesso ai dati e favorendo l’accesso industriale in modo da aumentare l’awareness e il coinvolgimento degli utenti. Tutto questo sfruttando il modello di business più opportuno per rendere finalmente sostenibile un mercato, quello dell’EO, che sembra giunto a un punto di svolta.