SOCIETY | 30 Ott 2018

Dato bene comune?

Il principio del city data commons e le esperienze europee che considerano l'accesso ai dati un diritto sociale

“L’accesso ai dati, così come il loro controllo, è diventato una risorsa strategica per le città”.

In questo modo viene inquadrato, nel libro “Ripensare la smart city” di Francesca Bria e Evgenij Morozov, il valore del dato e l’enorme potenziale economico che questo ha in ambito smart city.

Di dati come infrastrutture abilitanti per le città smart avevamo parlato qualche tempo fa, in occasione della presentazione dello studio Smart Cities & Utilities Report che paragonava le infrastrutture informative delle smart city a strade, ponti, elettrodotti delle città “tradizionali”.  Definita la strategicità crescente del dato, resta il limite di ecosistemi digitali che, nel contesto IoT, risultano essere molto frammentati e con una moltitudine di soluzioni di operatori privati non interoperabili. Avere a disposizione collezioni di informazioni raccolte da dispositivi diversi, su piattaforme spesso proprietarie che non comunicano tra loro per mancata adozione di standard, significa dover fare i conti con “silos” verticali, non solo poco utili allo sviluppo della data governance, ma anche poco controllabili da parte dell’utente.

Il dato è un bene comune?

Il libro di Bria e Morozov torna più volte sulla questione, ribadendo il concetto di “sovranità digitale”, ovvero l’opportunità che hanno le Pubbliche Amministrazioni di rimettere le persone al centro, garantendo loro il controllo sulle proprie informazioni personali e il diritto ad accedere ai dati come a un bene pubblico, di tutti.

“Giving people ownership of their personal data” è l’incipit del progetto DECODE, finanziato dalla UE, coordinato da Francesca Bria, che coinvolge le città di Amsterdam e Barcellona e mira a sviluppare strumenti pratici per proteggere i dati delle persone. Il ruolo delle città sarà sempre più quello di individuare nuove strategie economiche, legali e di governance oltre a standard aperti che permettano di costruire infrastrutture informative accessibili da parte di cittadini, imprese locali, ONG, cooperative e comunità locali che, riusando le informazioni, avrebbero l’opportunità di costruire nuovi servizi digitali.

Quali le linee di azione utili a riprendere il controllo delle strategie digitali?

Un elenco di indicazioni utili è quello che, sulla base delle esperienze europee attivate in questi anni, è riportato nel libro Ripensare le smart city e che parte dalla necessità per la PA di riprendere la gestione pubblica delle infrastrutture critiche, introducendo clausole legate al software libero, a formati di dati aperti e sviluppo agile dei servizi digitali. Oltre questo, viene evidenziata la necessità di controllare le piattaforme digitali, implementandone di alternative pubbliche su scala cittadina e sviluppando modelli cooperativi di fornitura dei servizi. Azioni possibili solo favorendo la democrazia partecipativa e garantendo massima trasparenza di azione.

Esempi di progetti europei che sposano la teoria del diritto di accesso ai dati come diritto sociale

DECODE è uno dei più conosciuti. Finanziato con 5 milioni di euro dalla UE, utilizza la tecnologia Blockchain per consentire ai cittadini di decidere quali dati mantenere privati e quali condividere, stabilendo regole trasparenti e chiare di accesso, uso e riuso. Attualmente è sperimentato a Barcellona per un progetto di democrazia partecipativa, che mette al riparo i cittadini da manipolazioni di dati forniti per la partecipazione politica attraverso la piattaforma decidim.barcelona, e in un progetto pilota che vede l’installazione di sensori a basso costo installati nelle case dei cittadini che raccolgono dati sulla qualità dell’aria e l’inquinamento acustico.

MIDATA, progetto sperimentale che consente ai cittadini di raccogliere i propri dati sanitari e personali in un fascicolo che ciascuno può decidere di condividere con altre persone (per esempio un medico per un consulto), mantenendo il pieno controllo sulle informazioni e contribuendo, se si vuole, alla ricerca.

DATACITES, un programma varato in Francia nel 2016 che considera i dati urbani come bene comune, mettendo in contatto i diversi stakeholder con l’obiettivo di promuovere modelli alternativi per i servizi di mobilità, energia e gestione rifiuti basati sui dati.

“La protezione dei dati personali – si legge nelle pagine scritte da Francesca Bria – deve essere concepita anche come diritto fondamentale autonomo e separato dal convenzionale diritto alla privacy, nonché come componente essenziale del concetto contemporaneo di libertà”.

Il dato, quindi, è bene comune di grande valore, e come tale va trattato.


Sonia Montegiove