MARKET | 24 Mag 2018

DESI 2018: si salvano gli Open Data

Il report mostra un'Italia digitale quartultima e in difficoltà, Open Data a parte

Tornata puntuale e attesa la relazione DESI, Indice di Digitalizzazione dell’Economia e della Società, 2018 che mette in evidenza lo stato dell’arte in termini di digitalizzazione dell’Europa e dei singoli Paesi membri. Tornata puntuale e un po’ meno attesa la quartultima posizione dell’Italia, che resta ferma da qualche anno a questa parte nella sua 25esima posizione, nonostante si sia registrato nel complesso un piccolo miglioramento che non ha inciso però nella classifica generale.

Connettività, capitale umano e competenze digitali, uso dei servizi Internet, digitalizzazione delle imprese e e-Commerce, e servizi pubblici digitali i 5 macro temi analizzati, tra i quali si rileva a livello nazionale qualche risultato positivo su e-Government. Passo del gambero in connettività (da 25esimi dello scorso anno a 26esimi), capitale umano (da 24esimi a 25esimi) e integrazione delle tecnologie digitali (da 19esimi a 20esimi). Invariato il penultimo posto in uso di Internet e il 19esimo in servizi pubblici digitali. Pochi, flebili segnali positivi: tra questi quelli riferibili alla copertura delle NGA, in fase di recupero dal 23esimo posto del 2016 al 13esimo del 2017, e sul fronte Open Data, dove l’Italia ha fatto un balzo di 11 posti verso la parte alta della classifica portandosi così sopra la media UE, a differenza della maggior parte di altri indicatori dove si è anche molto al di sotto del valore medio.

DESI(derio) di Open Data?

Quando parliamo di disponibilità di dati in formato aperto, DESI dice che tutti gli Stati membri hanno migliorato i loro punteggi, con Irlanda, Spagna, Olanda, Francia e Finlandia che hanno superato il 90% in punteggio di indice e Lettonia e Malta che registrano i progressi più significativi con un +350% per la prima e un +120% per la seconda rispetto al 2016.

L’indice è basato principalmente su due indicatori di “maturità”: la predisposizione ad aprire dati, misurata sulla presenza di politiche in atto, coordinamento centrale e presenza di linee guida per la pubblicazione, e accessibilità dei dati intesi come riusabilità, leggibilità e disponibilità dei dati aperti.

E i servizi pubblici digitali?

Se si parla di e-Government, DESI rileva che l’Italia si sta muovendo lentamente, con una disponibilità di servizi al di sopra della media, ma un numero di utenti che dovrebbe utilizzarli bassissimo che fa posizionare l’Italia all’ultimo posto in classifica fra i Paesi UE. Un indicatore della probabile scarsa usabilità e insufficiente conoscenza dei servizi digitali pubblici disponibili. Positivi i numeri per i servizi di sanità digitale, per i quali il nostro Paese risulta all’ottavo posto fra gli Stati membri, con 16 regioni italiane su 21 che hanno adottato la cartella sanitaria elettronica, “benché solo una minoranza la impieghi per tutti i servizi sanitari”, si legge sul rapporto.

A fare da buon esempio in Europa sono Estonia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Olanda e Lituana che hanno più dell’80% di utenti Internet che accedono a portali e servizi pubblici online. 14 gli Stati membri che presentano un indice complessivo sopra la media europea mentre Italia, Repubblica Ceca, Grecia e Germania presentano un indice che va al di sotto del 40%.

Male anche il sistema di identità elettronica conforme alla normativa eIDAS, SPID – Sistema Pubblico di Identità Digitale, fermo ad appena 2,2 milioni di utenti a fronte di un obiettivo di fine 2017 fissato a 10 milioni.

Meglio le imprese digitali?

Nonostante i progressi delle imprese italiane sul fronte dell’integrazione delle tecnologie digitali, l’Italia è retrocessa dal 19esimo al 20esimo posto vista la più rapida evoluzione degli altri Paesi membri. Le aziende di casa nostra presentano indici sopra la media per utilizzo di soluzioni di e-Business come scambio di informazioni elettroniche e RFID.

Se parliamo di e-Commerce, c’è da rilevare un incremento della percentuale di PMI che si dedicano ad attività di vendita online, anche a livello transnazionale, a fronte però di una flessione delle vendite elettroniche.

Il rapporto DESI ripone speranze nel Piano Impresa 4.0, per il quale le detrazioni fiscali sugli investimenti, correlati a Industria 4.0, in beni strumentali, software, macchinari e attrezzature industriali, sono state prorogate fino alla fine del 2018 e che, grazie ai 18 poli di innovazione digitale (Digital Innovation Hubs o DIH) attivati e ai “Centri di competenza”, la cui attivazione è prevista nel corso del 2018, dovrebbero fare da acceleratori.

Digital skill? No, grazie

Come registrato negli anni passati, a fare da zavorra la carenza di competenze digitali. Se parliamo di capitale umano, che comprende digital inclusion e skills, l’Italia è retrocessa addirittura di un posto rispetto al 2016. Stabile il numero di utenti Internet, in lieve aumento (dal 2,5% al 2,6%) gli specialisti TIC e in flessione i laureati in materie scientifiche (STEM) che passano da un 1,4% a un 1,3% del 2017.

Le diverse iniziative a favore della diffusione della cultura digitale attuate in Italia e citate nel rapporto non sono state evidentemente sufficienti a muovere nemmeno di poco indici già bassi.

L’Italia manca ancora di una strategia globale dedicata alle competenze digitali, lacuna che penalizza quei settori della popolazione, come gli anziani e le persone inattive, che non vengono fatti oggetto di altre iniziative in materia“.

Così recita il report, lasciando poco spazio a interpretazioni.