“In God we trust. All others must bring data”
Edwards Deming
Da oltre due anni Ingenium Magazine promuove la cultura del dato, raccontandola con le sue storie, esperienze e visioni. Ogni tanto mi domando se abbiamo conseguito dei risultati e quali. Siamo riusciti a suscitare interesse sull’importanza dei dati nella nostra vita professionale e personale? Abbiamo stimolato spunti di riflessione su come ciascuno di noi può migliorare il processo di raccolta e vaglio delle informazioni, per formare le proprie opinioni e prendere decisioni?
Non è possibile affermarlo. Possiamo solo sperarlo. La nostra capacità di produrre dati cresce in maniera esponenziale e in questo mare magnum di percentuali, grafici e tendenze diventa arduo distinguere ciò che è attendibile da ciò che non lo è.
Circa un anno fa scrivevo su queste pagine di fake data, più subdoli perché trattandosi di numeri, quantità e valori godono per definizione di maggior credito e autorevolezza. La frase “le statistiche mostrano…” è la versione moderna di “l’ho sentito alla televisione…“. Tuttavia, quanti conoscono la differenza tra media e mediana o sanno cos’è una regressione lineare e come si interpreta davvero?
La madre di tutte le fake news
Queste e altre riflessioni mi si sono riproposte di recente, in occasione di un confronto con un sostenitore del link (inesistente) tra vaccini e autismo in un contesto del tutto casuale e inaspettato. Confesso di essermi sorpreso della mia stessa sorpresa. So bene che frequentando un po’ la rete si trova di tutto, dalle scie chimiche, alle piramidi costruite dagli alieni, alla Terra che sarebbe piatta, con buona pace di Eratostene che nel III secolo A.C. ne calcolò il meridiano con un errore solo dell’1% rispetto al valore corretto.
Però la storia di Andrew Wakefield, il medico britannico che nel 1998 pubblicò uno studio su un ipotetico legame tra autismo e vaccino trivalente, è particolare. La falsa propaganda c’è da che esiste l’uomo, ma questa può essere considerata la madre delle fake news nell’era digitale. Non solo per la viralità e il seguito che ha avuto e (purtroppo) continua ad avere, ma per la modalità con cui fu prodotta e divulgata.
Wakefield usò dei fake data, prendendo in considerazione solo 12 bambini, falsificando i dati per 5 di essi e pubblicando lo studio su una rivista medica (Lancet). Peraltro, il paper non affermava tout-court la dannosità o inutilità dei vaccini ma avanzava dubbi sul solo trivalente, suggerendo di tornare alle vaccinazioni singole per morbillo, parotite e rosolia.
Nel 2004 dieci dei tredici coautori del paper ritirarono la loro firma con una dichiarazione ufficiale di “retraction” che testualmente affermava: “We wish to make it clear that in this paper no causal link was established between MMR vaccine and autism as the data were insufficient. ”
Lo UK General Medical Council avviò nel 2007 un’inchiesta durante la quale Wakefield si trasferì ad Austin (Texas), aprendo una clinica formalmente no-profit per la cura dell’autismo, della quale era responsabile del programma di ricerca (pur senza permesso per operare come medico in USA) con un salario annuo di 270.000 dollari.
Nel 2010 fu radiato dall’ordine medico britannico. Tra le altre ragioni, il Council motivò la decisione affermando che Wakefield aveva un conflitto di interessi perché stava lavorando al brevetto di un proprio vaccino per il morbillo che gli avrebbe portato grandi guadagni, se fosse riuscito a farlo considerare una alternativa “sicura” al trivalente.
In seguito, decine di studi scientifici non riuscirono mai a dimostrare alcun legame tra vaccini e autismo ma la pubblicità sensazionalistica, la diffusione sul web e l’attivismo di diversi influencer determinarono un calo dei tassi di immunizzazione in UK di oltre il 10%, lasciando dubbi persistenti tra i genitori di tutto il mondo ed estendendo la portata del fake dallo specifico vaccino trivalente al noumeno kantiano di vaccino nel senso più generale possibile.
L’onda lunga di questo movimento provoca tuttora conseguenze. Complice un dibattito politico non privo di strumentalizzazioni, molte persone restano convinte che Wakefield avesse ragione e che la sua radiazione sia stata un complotto ordito dalle case farmaceutiche. Nel frattempo la copertura vaccinale in Italia è diminuita e nel 2017 abbiamo avuto 4.991 casi di morbillo contro gli 862 del 2016, con un aumento del 479% (fonte: Istituto Superiore di Sanità).
Scienza e disintermediazione: l’AI non ci salverà
Potrei controbattere ai sostenitori di Wakefield dicendo che è inattendibile perché il suo cognome è l’anagramma di “wield fake (trad. brandire falsità)”. Tuttavia, anche se è una divertente coincidenza, mi limito a fidarmi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del nostro Istituto Superiore già citato.
In altre parole, delego a qualcuno che ne sa più di me. Alla radice di fake news e fake data c’è infatti un problema di delega della conoscenza. Il sovraccarico informativo a cui siamo sottoposti non consente una verifica esaustiva di fonti e contenuti, per questo è necessario delegare ad “esperti” che facciano per noi quel lavoro che non possiamo o non vogliamo fare. La disintermediazione offerta da rete e social rischia però di alimentare una pericolosa delegittimazione dell’esperto, spingendoci a sopravvalutare la nostra possibilità, per altro solo teorica, di accesso alle informazioni e a sottovalutare tragicamente la nostra ignoranza.
Molti pensano che la soluzione alle fake news possa venire dalla tecnologia, attraverso un fact-checking basato su Intelligenza Artificiale e Big Data, con algoritmi di Machine Learning addestrati a riconoscere la sintassi tipica di un contenuto fake.
C’è però un problema. Se da un lato l’AI potrà aiutarci a smontare diverse bufale, dall’altro ne genererà di nuove e sempre più sofisticate (come scrivevo nell’articolo sopra citato). Un po’ come il Teorema di Incompletezza di Goedel. Ci sono teoremi “veri” che non sono dimostrabili. Per poterli dimostrare dovremmo introdurre nuovi assiomi, che però a loro volta genererebbero ulteriori teoremi non dimostrabili.
A salvarci dai rischi della disintermediazione a mezzo web non sarà (solo) l’AI ma la cultura, il pensiero critico, la consapevolezza di cosa sia la scienza e a cosa serva. Così che tra due tesi contrapposte riguardo un dato argomento, una pubblicata sul sito di una istituzione ufficiale e l’altra su… www.quellochenonvoglionofartisapere.com, non debba essere difficile selezionare la fonte più attendibile.
Se parliamo di vaccini, nessuna “persona qualunque” può sognarsi di avere qualcosa da obiettare non al singolo immunologo, ma ad una intera comunità scientifica che si è data rigorosi criteri di verifica. È dunque vero quel che dice Roberto Burioni, che “la scienza non è democratica”?
Ritengo di no nel modo più assoluto. La scienza è un’impresa a cui tutti possono avere accesso, purché si prenda atto di un gap di conoscenza colmabile solo con anni di studio, senza scorciatoie o “cercando su Internet”. Se voglio essere un decision maker in tema di vaccini provo a superare il test di ammissione, mi iscrivo a medicina, mi laureo, mi specializzo in immunologia, pubblico dei paper che dei miei pari valuteranno nel merito e nel metodo e forse tra una decina di anni se ne potrà riparlare.
Umanesimo 4.0
Dunque, più che la tecnologia, l’applicazione del metodo scientifico può essere uno strumento potente per distinguere i contenuti validi da quelli fake. Spirito critico, cultura del dubbio, rifiuto di ogni dogmatismo e capacità di interpretare i dati (quantitativi) a disposizione resistendo alla tentazione del confirmation bias.
Purtroppo l’Italia, che pure ha dato i natali a Galileo, ha con la cultura scientifica un rapporto difficile, a partire dall’istruzione. La ricerca è vilipesa e finanziata poco e male, la matematica e la fisica insegnate alle secondarie superiori sono una pallida parvenza di ciò che uno studente si trova ad affrontare al primo anno di un corso di laurea di area STEM.
Tuttavia, non possiamo cavarcela con ricette semplici, come aumentare il numero di ore scolastiche di questa o quella materia o introdurre un po’ di coding e tecnologia a scuola. Finiremmo con l’alimentare una sterile contrapposizione tra cultura scientifica e umanistica.
La scienza è semplicemente compresa nel corpus multiforme e multidisciplinare della cultura prodotta dall’uomo, quindi “umanistica” in senso etimologico. La scienza non arriva da Marte o dagli alieni ma è frutto del nostro ingegno e delle nostre capacità cognitive, così come le arti e la filosofia.
Abbiamo bisogno di un “Umanesimo 4.0”, con cui affrontare consapevolmente le sfide future, che risulta facile da definire. È sufficiente prendere quello originale (Umanesimo ‘400), togliere uno zero e aggiungere un punto. Per il resto, basterebbe seguire alla lettera lo spirito e l’esempio di Leon Battista Alberti o Leonardo da Vinci, le cui opere abbracciavano ogni campo del sapere, dall’architettura, alle lettere, alla filosofia. Se nel XV secolo fosse esistita la meccanica quantistica l’avrebbero di sicuro inserita nella loro visione del mondo.
La cultura umanistica non è frequentare un particolare tipo di liceo o il recupero dei classici. Piuttosto, è far convivere i domini della conoscenza umana in sinergia olistica, in modo che il totale sia maggiore della somma delle parti. In piena trasformazione digitale e in attesa di capire come “evolveranno” le macchine, possiamo e dobbiamo integrare arte e scienza, filosofia e tecnologia, letteratura e matematica. Come diceva Leonardo “la conoscenza di tutte le cose è possibile”.
Aveva ragione Bertold Brecht?
Più di qualsiasi saggio di epistemologia, c’è un brano di “Vita di Galileo” di Bertold Brecht che definisce in modo magnifico e potente cosa sia la scienza e come essa operi. Mi sembra la migliore sintesi possibile per mettere al centro l’uomo, superando qualsiasi scissione culturale.
Il metodo scientifico spiegato dal suo stesso inventore Galileo in un’opera teatrale attraverso le parole di un grande drammaturgo, per ricordarci sempre di alimentare quello spirito critico che, più di qualsiasi tecnologia, può consentire di orientarci nell’oceano di informazioni del nostro presente e futuro digitale.
“Con qualche probabilità di dare le prove della rotazione del sole. Non m’importa di mostrare di aver avuto ragione, ma di stabilire se l’ho avuta. E vi dico: lasciate ogni speranza, o voi che vi accingete a osservare! Forse sono vapori, forse sono macchie; ma prima di affermare che sono macchie, cerchiamo di accertare se per caso sono pesci fritti. Sì, rimetteremo tutto, tutto in dubbio. E non procederemo con gli stivali delle sette leghe, ma a passo di lumaca. E quello che troviamo oggi, domani lo cancelleremo dalla lavagna e non lo riscriveremo più, a meno che posdomani lo ritroviamo un’altra volta. Se qualche scoperta asseconderà le nostre previsioni, la considereremo con speciale diffidenza. E dunque, prepariamoci ora ad osservare il sole con l’inflessibile determinazione di dimostrare che la terra è immobile! E solo quando avremo fallito, quando, battuti senza speranza, saremo ridotti a leccarci le ferite, allora con la morte nell’anima cominceremo a domandarci se per caso non avevamo ragione, se davvero è la terra che gira! Ma se tutte le altre ipotesi, all’infuori di questa, ci si dovessero squagliare fra le dita, allora nessuna pietà per coloro che, senza aver cercato, vorranno parlare! Andrea, togli il panno dal cannocchiale e volgilo verso il sole!”
Sì. È tempo di togliere finalmente il panno dal cannocchiale.
Marco Caressa