SOCIETY | 17 Dic 2019

Di sostenibilità, tecnologie e l’inversione di causa ed effetto

Cos'è la sostenibilità digitale e perché non va confusa con la tecnologia sostenibile?
La sostenibilità, da qualche tempo, è diventato un tema d’agenda. Che a essere ottimisti vuol dire che finalmente le si sta dedicando lo spazio che merita, a essere pessimisti è un modo elegante per dire che va di moda. L’esser diventato un tema d’agenda implica che tutti, ma proprio tutti, abbiano iniziato a parlarne. Ed è un po’ come succede nelle partite di pallone, ognuno di noi – almeno un giorno a settimana – pensa di essere il miglior allenatore della propria squadra. Salvo poi, il giorno dopo, passare ad altro. E in questa tendenza, che non nasce certo con i social ma nei social trova un fertile terreno di coltura, è particolarmente interessante guardare a quello che succede quando un tema d’agenda (o di moda) si incrocia con un altro tema d’agenda (o di moda), che è quello delle tecnologie digitali.
Perché se è vero che tutti possono essere esperti di sostenibilità per un giorno, è altrettanto vero che tutti – rispetto al digitale – hanno il famoso cugino che se ne intende. E quindi, parlando di sostenibilità e digitale, ecco succedere qualcosa di meraviglioso: schiere di esperti di sostenibilità per un giorno discettano del suo ruolo in rapporto alle tecnologie, intrecciando dotti discorsi con plotoni di cugini intenditori.
I risultati di questo processo possono essere devastanti, ma sono quattro gli effetti più significativi.

La ritirata degli esperti

È inevitabile: abbassate il livello del dibattito e chi ha un po’ di competenza in un settore tenderà ad abbandonare il discorso. Il problema è che quando i settori sono due – in questo caso quello della sostenibilità e quello della Trasformazione Digitale – difficilmente quelli competenti lo saranno in entrambi gli ambiti. Ma per una fatale conseguenza dell’effetto Dunning Kruger pochi se ne renderanno conto davvero. E il risultato è che si assisterà al festival degli improvvisati incrociati. Ossia competenti in un settore (in genere quello del digitale, sperando che non siano i famosi cugini) che si improvviseranno esperti nell’altro (quello della sostenibilità). Con una conseguenza immediata e un conseguente risultato: la conseguenza è che anche gli esperti “più esperti” di Trasformazione Digitale (e quindi non solo i cugini) corrono il rischio concreto di dire castronerie parlando di sostenibilità. E il conseguente risultato è che gli esperti di sostenibilità le castronerie le noteranno e, una parte per il tutto, riterranno inaffidabile l’esperto di Trasformazione Digitale, e inapplicabili i temi che esso tratta. Il risultato complessivo è che gli esperti di sostenibilità si allontaneranno dai temi del digitale, perdendo opportunità e non cogliendo le possibilità che essa si porta dietro. O, il che è quasi peggio, simmetricamente a chi si occupa di Trasformazione Digitale che deborda nella sostenibilità, penseranno di poter debordare nella Trasformazione Digitale, trovandosi nella migliore delle ipotesi a reinventare l’acqua calda e nella peggiore a scottarcisi pure.

La coazione a ripetere

Secondo il dizionario di medicina dell’enciclopedia Treccani, la coazione a ripetere è la “tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze”. Nel nostro caso ciò si traduce nell’incontenibile tendenza a ripartire sempre da zero quando ci si pongono problemi che riguardano l’impatto delle tecnologie nella società. Quando qualcuno inventò il telaio, dotti esperti di economia discettavano sul suo ruolo nella distruzione di posti di lavoro così come lo hanno fatto nel secolo successivo con l’informatica, e nel millennio seguente con l’Intelligenza Artificiale. Mai nessuno che si sia chiesto se il fatto che per centinaia di anni ci si sia fatti sempre le stesse domande senza mai trovare risposte, non dipenda dal fatto che sono le domande a essere sbagliate, o almeno mal poste. E così, per quanto ciò sia dannoso, ogni volta ricominciamo da capo. E stiamo per farlo anche oggi con la sostenibilità, con schiere di esperti che dicono che la tecnologia allontana dai paradigmi della sostenibilità sociale, economica e ambientale, e analoghe ma contrapposte fazioni sostengono il contrario.

La tendenza all’ipercomplessità

La coazione a ripetere è enfatizzata dal fatto che, un po’ per darsi un tono un po’ per giustificare la propria esistenza, gli esperti – quale che sia il loro campo – hanno l’insana tendenza a render complesse le cose semplici. Si prenda a esempio il tema dell’Intelligenza Artificiale. A giudicare dal livello del dibattito in corso, sembra davvero che qualcuno si aspetti di scendere in strada e trovare da un giorno all’altro robot asimoviani a passeggiare per la via. Parlare di etica dell’Intelligenza Artificiale, se non si contestualizza bene il tema, assomiglia un po’ troppo pericolosamente, a conti fatti, a parlare di etica del forno a microonde. Il che, ovviamente, non vuol dire che non sia necessario porsi problemi etici in rapporto allo sviluppo delle tecnologie. Ma spostare sulla tecnologia il focus del dibattito non solo è metodologicamente scorretto, ma pericoloso. Perché porta, tra le altre cose, a una vera e propria inversione del rapporto di causa ed effetto.

L’inversione del rapporto di causa ed effetto

Etica dell’Intelligenza Artificiale? Bene. Allora serve anche l’etica della zappa. O almeno servirebbe, se si desse alla zappa dignità di soggetto, quando a oggi è – e deve essere – oggetto, e quindi strumento. A forza di discutere degli impatti e delle conseguenze della tecnologia rischiamo di perdere di vista il fatto che essa è oggetto, e non soggetto rispetto ai fini che ci si pone.
Il risultato concreto parlando di sostenibilità? Si confonde il concetto di sostenibilità digitale, che rappresenta la modalità con la quale la tecnologia può essere declinata strumentalmente per costruire modelli di sviluppo sostenibile, con quello di tecnologia sostenibile, che al più richiama i green data center. Il dibattito attuale sul rapporto tra tecnologia e sostenibilità – basta fare una ricerca su Google per rendersene conto – è la manifestazione plastica dell’inversione del rapporto di causa ed effetto sul ruolo del digitale. Invece di chiedersi in che modo poter utilizzare le tecnologie come strumento di sostenibilità ci si chiede quanto siano sostenibili le tecnologie. Domanda lecita, certo, e opportuna. Ma che non deve essere confusa con il tema principale. Perché ridurre il significato della sostenibilità digitale a quello di tecnologia sostenibile vuol dire interrogarsi sulla sostenibilità del processo di produzione di uno strumento piuttosto che sulle possibilità che tale strumento abilita. Come dire che si valuta una medicina dal suo costo di produzione, e non dal risultato che produce quando assunta dal paziente.
Stefano Epifani