Sentiamo spesso dire che il Web o i Big Data sono le nuove miniere d’oro e che ad analizzare tutti i dati provenienti dai social media, dai log, dai motori di ricerca, dai forum, fino ai Linked Open Data ci sarebbero molte cose da scoprire. Prescindendo dai problemi derivanti da scoperte che possono mettere a rischio la nostra privacy o la capacità di uno Stato di sostenere libere elezioni senza interferenze esterne (come ha ormai dimostrato l’ormai tristemente famoso scandalo di Cambridge Analytica), siamo davvero sicuri che nei dati ci sia la possibilità di scovare conoscenza “buona”, utile non solo ai singoli “ricercatori” ma anche al “bene pubblico”?
Un manifesto per l’uso etico dei Big Data
Un paio d’anni fa alcuni professori e ricercatori hanno sentito il dovere di lanciare un manifesto per mettere nero su bianco i princìpi guida per l’uso etico dei (Big) Data. I professori Roberto V. Zicari e Andrej Zwitter nel 2017 hanno infatti identificato una serie di pericoli per l’umanità e le democrazia e per questo hanno invitato persone e istituzioni a condividere le motivazioni per l’utilizzo dei dati per il bene comune e il benessere dell’umanità.
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Do no harm
Non fare del male o danneggiare. Pensiamo all’uso dei dati personali per accordare o negare le cure mediche (pratica purtroppo non solo relegata a film fantascientifici sul futuro dell’umanità ipertecnologica) o quello militare per pilotare droni con armi o esplosivi. Si noti come questa sia l’unica motivazione in negativo: molto semplice nella definizione e allo stesso tempo altrettanto efficace nel raccogliere tante casistiche, tutte negative, per le persone e l’umanità.
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Use data to help create peaceful coexistence
I dati per aiutare la creazione di una coesistenza (tra popoli e nazioni) pacifica. Sembra il contesto più lontano per un tecnico, ma anche la disparità di accesso alle informazioni (oltre all’accesso all’acqua e ai beni primari) è spesso causa di conflitti. La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite nelle sfide per il 2030 ha identificato che non c’è sviluppo sostenibile senza promuovere società giuste, pacifiche e inclusive (Sustainable Development Goal #16 – Promote Just, Peaceful, and Inclusive Societies). Alla fine dello scorso anno un interessante report ha raccontato come le tecnologie Big Data hanno favorito la stabilità e la coesistenza delle popolazioni africane.
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Use data to help vulnerable people and people in need
I dati per aiutare le persone vulnerabili e chi è in stato di necessità. Pensiamo al numero unico dell’emergenza e il tracciamento delle celle telefoniche per triangolare la posizione del chiamante: una funzione della rete, purtroppo ancora non attiva in Italia come abbiamo scoperto quest’estate a causa del decesso dell’escursionista Simon Gautier disperso nel Cilento.
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Use data to preserve and improve natural environment
I dati per preservare e migliorare l’ambiente naturale. Ad esempio la FAO ha diverse iniziative in ambito Fishery per l’analisi di dati locali integrati con i dati di monitoraggio forniti dalle “sentinelle” dell’ESA per monitorare la pesca di frodo, identificare la variazione delle aree di ripopolamento da rendere riserve di pesca, eccetera.
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Use data to help create a fair world without discrimination
L’uso dei dati per creare un mondo equo, giusto e senza discriminazioni. La quantità di dati che generiamo durante le nostre attività sul Web (e in futuro tramite le nostre auto autonome, la nostra casa automatizzata e i vari sensori indossabili per sport o salute, eccetera…) è già ora oggetto di potenziale discriminazione per le offerte, i suggerimenti che vi vengono o non vengono proposti dai motori di ricerca. È noto che i risultati di una ricerca sono filtrati e ordinati anche in base al nostro profilo: questo comporta da un lato il miglior matching dei risultati dall’altro una bias che non ci espone a novità o elementi differenti che potremmo non sapere neanche di volere. Nel 2016 la Commissione Federale per il Commercio (FTC) ha riflettuto sull’uso distorto dei dati raccolti e le interessanti conclusioni sono in questo report.
“In addition, the Commission will continue to examine and raise awareness about big data practices that could have a detrimental impact on low-income and underserved populations and promote the use of Big Data that has a positive impact on such populations”. La Commissione, inoltre, continuerà a esaminare e alzare il livello di attenzione sulle pratiche Big Data, che potrebbero avere un impatto deleterio verso le popolazioni a basso reddito e poco servite ma potrebbero anche promuovere l’uso dei dati in grado di avere un impatto positivo su queste popolazioni.
I dati per il lavoro
La questione della capacità di accedere alle informazioni è un tema molto sentito anche nel mercato del lavoro: il motivo per il quale spesso ci si rivolge agli amici. Il passaparola è ancora il mezzo più efficace per avere l’informazione giusta per sé. In effetti la difficoltà nel far circolare le informazioni relativamente alle posizioni aperte (placement) è un problema sentito anche dalle industrie: non solo per le nuove figure professionali (come il Data Scientist) ci sono dei problemi di carenza di organico, ma anche per lavori più manuali o artigianali, come saldatori o fabbri.
La correlazione tra domanda e offerta è un problema noto. Nel 2016 il progetto EDISON ha studiato come le tecnologie Big Data e Data Analytics possono favorire il matching tra domanda e offerta per le professioni legate ai dati. Lo stesso approccio è stato realizzato da Fabio Mercorio alla Bicocca di Milano per realizzare un proof-of-concept di un portale di placement europeo. Da questa idea di uso delle tecniche di Intelligenza Artificiale è nata anche una start-up che fornisce dati sul mercato del lavoro. Non solo in Europa ma anche negli USA i servizi di analisi del mercato del lavoro sono in fermento, come dimostra il caso del portale Glassdoor. Anche Engineering collabora con gli assessorati del lavoro di alcune regioni (Trentino, Emilia Romagna, Lazio, eccetera…) per la realizzazione di portali per il collocamento, ambienti online dove il lavoratore e le aziende possono avere tutte le informazioni per soddisfare le proprie esigenze.
I dati per l’inclusione
Ma un caso ancora più interessante è l’adozione di tecniche di Big Data e algoritmi di Intelligenza Artificiale per la realizzazione di servizi a favore della collocazione dei rifugiati. Il tema dell’inclusione dei rifugiati non è certo nuovo, così come l’adozione di strumenti ICT per facilitare la comunicazione e la messa in rete di informazioni. Lo ha sperimentato, fin dal 2015, la città di Francoforte con una app che si rivolge ai rifugiati di varie nazioni in guerra per aiutarli a orientarsi nei servizi della città ed entrare in relazione con la popolazione locale.
Sul tema del placement, invece, non avevamo ancora visto nulla, tant’è che la Commissione Europea, nell’ambito dei progetti Erasmusplus, ha finanziato un’iniziativa chiamata DISKOW per supportare, tramite una base di conoscenza condivisa, il placement dei rifugiati. A un anno dal suo lancio, si è tenuto un workshop per presentare il progetto nella sede di Engineering a Roma.
Durante l’evento sono intervenuti filosofi, esperti di diritto, associazioni di promozione sociale e gli stessi rifugiati, per discutere insieme di come (e se) la tecnologia possa dare nuove chance a chi, a causa di guerre e carestie, ha perso tutto e vuole rimettersi in gioco.
Giampaolo Fiorentino e Andrea Manieri