L’attualità ci sta sommergendo di informazioni più o meno veritiere relativamente alle innumerevoli sfaccettature della pandemia legata a Coronavirus.
Sto parlando di notizie sulla situazione attuale, riportate su articoli, pubblicazioni, post sui social network, corredate da grafici e dashboard descrittive dei “numeri della pandemia”, ma anche di come potrebbe evolversi grazie a un uso massiccio di analisi predittive e simulazioni di scenario, basate sui numeri raccolti dalle istituzioni a tutti i livelli geografici, politici e organizzativi e messi a disposizione anche sotto forma di open data.
Quanti sono i dati in Rete?
Questa è solo la punta dell’iceberg che rappresenta la mole di dati che ci sta investendo come cittadini. Dietro le quinte la raccolta dei dati è frenetica e i volumi e gli scambi sono immensamente più grandi. Basti pensare alle informazioni che i ricercatori elaborano per studiare medicinali per la cura dei sintomi e delle cause della malattia nelle varie forme in cui si manifesta, così come per mettere a punto un vaccino.
La quantità di dati scambiati in rete sia a livello di documentazione che di audio e video per online meeting, è esplosa anche a causa dell’aumento di smark working e di lezioni virtuali che hanno messo a dura prova persino piattaforme come Microsoft Azure, che il 24 marzo 2020 ha raggiunto i limiti di capacità.
Come farsi aiutare dai dati per la Fase 2?
A tutto questo ci stiamo abituando, dando ormai per scontato che la cosiddetta Fase 1 dell’epidemia si manifesti, per i più fortunati, mediante questo florilegio di declinazioni digitali, ma siamo ormai chiamati a preparaci per la Fase 2 (lasciatemi dire finalmente!), ossia il primo tentativo di convivere con un problema che non ci lascerà presto, ma che non può annientare la nostra natura di animali sociali. I bambini devono andare a scuola e frequentare i coetanei, gli adulti devono riprendere il lavoro oltre che godere di qualche momento di svago in compagnia, e gli anziani devono poter passare del tempo di qualità coi propri nipoti e con amici, oltre a essere tutelati dalla società con particolare attenzione. Nulla di tutto ciò sembra così scontato, ormai anzi c’è quasi un senso di rassegnazione che ci fa vedere come miraggio quel che era normalità.
Un’app per il contact tracing
Nasce a tal fine l’app Immuni, adottata dal Governo e in fase di sperimentazione per fronteggiare la Fase 2, scaricabile su base volontaria e gratis, dal play store Android e dall’Apple store per dispositivi iOS. L’applicazione si basa sulla tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE) e mantiene i dati dell’utente sul proprio dispositivo scambiato tramite Bluetooth con i dispositivi limitrofi.
Più discussa è la possibilità di adottare app basate su sistema GPS del cellulare, come le svariate opzioni di app disponibili in Corea Del Sud, laddove ad esempio già a febbraio era scaricabile l’app “Corona 100m” che, incrociando i dati di geolocalizzazione dell’utente con i database governativi pubblici, consente agli utenti di vedere la data in cui un paziente ha avuto la conferma della positività (oltre che svariati suoi dati personali) e la distanza rispetto a potenziali luoghi a rischio. La soluzione adottata della Corea del Sud che si è dimostrata estremamente efficace ha però sfruttato appieno i dati privati del cittadino e by-passato diversi aspetti legati alla privacy che in Italia e in Europa sono oggetto di approfondimento.
Tale soluzione tecnologica ha comunque dimostrato che non può prescindere dagli ulteriori due elementi (testare e trattare) di cui è composto l’ormai noto assioma delle “tre T”, composto da Testing, Tracing, Treating, che implicano un impianto organizzativo a livello socio sanitario e non solo prettamente tecnologico.
Quel che possono i Big Data
La Big Data Analysis è entrata nella partita per la raccolta dei dati supportando attività di Business Intelligence o Machine Learning, ma ora deve svolgere un altro compito. Parliamo dell’integrazione con soluzioni di edge-computing, di IoT, di stream processing, non più necessariamente di Data Lake su dati batch. Parliamo di sistemi dedicati al Contact Tracing, che devono interagire con la sensoristica legata alla validazione di tamponi o, in una versione semplificata, che siano in grado di intercettare i dati delle app su smartphone.
Ma perché intercettare tutti questi segnali e centralizzarli in un punto di raccolta? Non basta che app o sistemi at-the-edge scambino tra loro informazioni, allertando ad esempio se un positivo al covid-19 o un cittadino/utente non ha rinnovato il test o ne è completamente sprovvisto? Con una diffusione massiva tra adulti informati e consenzienti potrebbe essere certamente un sistema efficace per recuperare un po’ di libertà, ma pensiamo a scenari più delicati quali le scuole.
Le scuole sono il punto cruciale in una rete di contagi, in cui le famiglie entrano in contatto tra loro, ma anche una componente fondamentale e irrinunciabile della nostra società. A scuola i bambini non portano il cellulare e non sono responsabili delle proprie azioni; serve quindi un sistema di monitoraggio coordinato e non lasciato al fai-da-te, in grado anche di evidenziare situazioni di disagio sociale che necessitano di un intervento da parte delle istituzioni.
La modalità di raccolta dei dati deve essere per questo a frequenza controllata e seguire altre modalità anche meno sofisticate, consentendo ai dirigenti scolastici di “fare l’appello” mediante strumenti nuovi, ma non ostici. Una piattaforma di monitoraggio condivisa e intelligente può fare la differenza per arginare falle e sollevare le famiglie dall’onere di applicare politiche di contenimento. Chiaramente si possono sfruttare i dati per studiare gli andamenti, fare previsioni, raccomandazioni e analisi avanzate in generale su dati at-rest, ma l’alimentazione e l’elaborazione del sistema deve essere prevalentemente in tempo reale (dati on-the-fly) o near real time, così come le segnalazioni e gli output del sistema.
La scuola o gli istituti sanitari, così come le case di riposo o le aziende, che hanno bisogno di un monitoraggio a lungo termine del proprio pubblico, possono trarre beneficio da piattaforme dedicate e specializzate. Inutile dire che la frammentazione delle soluzioni è uno sperpero di risorse e fornisce risultati meno attendibili, motivo per cui lo sforzo comune deve essere rivolto alla semplificazione e alla scelta di strumenti e piattaforme univoche per un’azione sinergica, che potrebbe spianare la strada a strategie legate a Fase 2 calibrate sul cittadino in base al cluster a cui appartiene (età, residenza, esito dei tamponi precedenti, ecc) del tipo:
- come pianificare soluzioni per lo spostamento delle persone fisiche, non solo da Comune a Comune ma anche in aree geografiche più vaste, suggerendo le modalità più sicure ed efficaci
- con che frequenza è suggerita/raccomandata la riesecuzione dei test tampone
- a quali servizi accedere (voli, treni, cliniche private, palestre e centri sportivi) in base alle proprie caratteristiche.
Il tutto, proprio per la natura dei Big Data che lavorano su grandi volumi e generalizzano, senza dover intaccare la privacy dell’utente.
Pensando in termini ancora più virtuosi, l’informatica e i Big Data in particolare potranno e dovranno comprendere come si innesca il fenomeno di generazione di nuovi focolai, una volta che il lockdown sarà revocato e le trasferte riprenderanno e, assecondando gli auspici Bill Gates già nel 2015, come una società più matura e sostenibile potrà attrezzarsi a prevenire e contenere nuove pandemie.
Monica Franceschini