PEOPLE | 5 Giu 2018

Gender Gap in ICT: i dati, sotto tortura, lo confermano

Intervista a Mariacristina Sciannamblo sui gap delle donne che lavorano nel campo dell’informatica

Le differenze di genere in informatica, come nel settore scientifico, esistono. Stipendi, condizioni di lavoro, successo nell’ottenere fondi di ricerca fanno la differenza.

“Forse le donne nerd (nel senso di appassionate di tecnologia) non sono così poche. Sicuramente sono poche le donne che lavorano nel campo dell’informatica con un titolo di studio in informatica o ingegneria informatica, così come poche sono le studentesse che si iscrivono e frequentano questi corsi di laurea”. Mariacristina Sciannamblo, Post-doc Research Fellow presso il Madeira Interactive Technologies Institute e autrice del libro La rivincita delle nerd ha indagato la questione del gender gap in ICT.

“Sia sul piano europeo che su quello italiano le statistiche dicono infatti che la situazione peggiore in termini di equilibrio di genere colpisce proprio il settore dell’informatica. Secondo She Figures, il rapporto europeo triennale che monitora l’equità di genere nei campi scientifici e tecnici, nel 2012 il numero delle donne dottori di ricerca in informatica corrispondeva al solo 21% nell’Unione Europea. Sempre secondo i dati relativi al 2012, le donne formavano meno di un quarto dei dottori di ricerca in 15 Paesi; mentre in altri Paesi (tra cui l’Italia), la porzione delle donne dottori di ricerca nel settore dell’informatica è addirittura diminuita. I dati italiani, infatti, riflettono complessivamente l’andamento europeo per quanto riguarda i campi della computer science, computing, elettronica e automazione, con circa il 20% di donne in possesso di una laurea, e il 32% in possesso di un dottorato di ricerca (dati Eurostat relativi all’anno 2013-2014). Questi dati diventano ancora più ricchi di senso se li confrontiamo con quelli relativi ad altre discipline scientifiche quali medicina, biologia (le cosiddette scienze della vita), che invece rimangono un dominio principalmente femminile”.

Quali le best practice internazionali e qualche esempio di progetto utile ad abbattere il gap?

“Le questioni di genere nel campo dell’informatica, e più in generale negli ambiti tecnici, non sono più un argomento esotico per la ricerca accademica e l’agenda istituzionale. La prova più evidente di tale consapevolezza è probabilmente l’introduzione del genere come questione trasversale all’interno di Horizon 2020, il programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione. Tra i suoi principi generali, infatti, il programma si propone di raggiungere l’equità di genere attraverso tre linee di azione specifiche: favorire l’equilibrio di genere nella composizione dei team di ricerca, assicurare l’equità tra uomini e donne nei processi decisionali, e integrare il genere come dimensione di analisi nelle pratiche di ricerca. Accanto a queste iniziative istituzionali di larga portata, aziende e gruppi spontanei di donne si stanno attivando per diffondere la cultura di genere all’interno delle professioni informatiche e, di conseguenza, per favorire un maggiore accesso di donne ai campi tecnici. Si tratta di esperienza di networking e mentorship che mirano ad aumentare la partecipazione femminile attraverso diverse iniziative quali seminari, workshop, hackathon e programmi educativi tradizionali.

Negli anni recenti, si è assistito alla diffusione di gruppi e campagne nate per supportare gli obiettivi appena citati: Anita Borg Institute, Girls Who Code, Black Girls Code, GNOME Outreachy, Ada Lovelace Day sono solo alcune delle iniziative volte a supportare le donne nello sviluppo di competenze informatiche, nell’avanzamento di carriera, nella costruzione di profili professionali nei campi dell’informatica e dell’ingegneria, e nell’incoraggiare persone queer a partecipare alle attività delle comunità free-software e open source.

Nel mio libro descrivo le attività delle comunità con cui sono entrata direttamente in contatto: Girls Geek Dinner, Rails Girls, Ubuntu Women, Girls in Tech, Progetto NERD. Alcune di queste organizzazioni nascono fuori dall’Italia, ma si diramano in tutto il mondo – Italia inclusa – attraverso sezioni locali; altre costituiscono iniziative nate e attive solo in Italia, mentre altre ancora – come Ubuntu Women – nascono come comunità online tra gruppi di diversi Paesi e che, di tanto in tanto, organizzano incontri offline. Si tratta di casi di network e iniziative che hanno l’obiettivo di incoraggiare la presenza femminile nei campi tecnici, in particolare nell’informatica e nell’ingegneria”.

Giulia Baccarin mette in evidenza nel suo TED il problema del gender gap legato allo sviluppo di applicazioni di machine learning. Quali i rischi reali di questa situazione?

“Penso che sia un tema interessante e importante, e allo stesso tempo ancora poco dibattuto rispetto alla questione macroscopica dei numeri, cioè dello squilibrio nella presenza di uomini e donne. Quello che cerco di dire e mostrare nel libro è che le ragioni per le quali l’informatica si presenta come un mondo poco ospitale nei confronti delle donne sono molteplici e hanno generalmente a che fare con la scarsa socializzazione delle bambine alla tecnologia (a cominciare dai videogiochi), la resistenza, i pregiudizi di genere, il sessismo nel settore dell’Information Technology (IT), la divisione del lavoro di genere, e la pervasività degli stereotipi sulle presunte diverse attitudini degli uomini e delle donne rispetto alle materie scientifiche. Questi stereotipi prendono forma in tutte le pratiche tecniche, incluse quelle di progettazione della tecnologia e ai conseguenti effetti discriminatori. Nel libro c’è un ampio capitolo teorico che illustra il dibattito su genere, femminismo, scienza e tecnologia, e il fulcro di tale dibattito, per quanto mi riguarda, sono le questioni epistemologiche concernenti la scienza e la tecnologia (e quindi anche l’informatica), vale a dire come viene prodotta la conoscenza, come vengono progettati gli artefatti tecnici e le applicazioni digitali. Le professioniste che ho intervistato toccano questi problemi quando parlano di interfacce testosteroniche o del carattere maschile di Wikipedia, cioè di modi di vedere le relazioni tra umani e oggetti, forme di sapere, criteri diversi di ordinare il mondo e di esprimere giudizi morali che sono inscritti negli oggetti tecnici. Queste sceneggiature sociotecniche delegano competenze, azioni e responsabilità ai potenziali utenti, definendo, dunque, chi saranno o chi potrebbero essere gli utenti stessi. In questo senso, le inscrizioni di genere o gli usi suggeriti da un oggetto in termini di relazioni di genere si riferiscono agli assunti e alle rappresentazioni delle relazioni tra maschile e femminile (o meglio tra maschili e femminili) inscritti nel contenuto e nella forma degli artefatti. Gli studi di genere dei processi di design delle tecnologie rivelano come queste ultime favoriscono o inibiscono usi specifici da parte degli uomini e delle donne mediante la rappresentazione dell’utente presente nella conformazione tecnica dell’oggetto. Il carattere maschile e la scarsa accessibilità dell’interfaccia di Wikipedia così come l’interfaccia testosteronica di un sistema operativo si riferiscono proprio alla specifica rappresentazione dell’utente in termini di ruoli e identità di genere che inibirebbe la partecipazione e l’uso da parte delle donne.

Questo approccio suggerisce una linea di ricerca interessante, ma ancora poco battuta, che riguarda lo studio dei sistemi informatici attraverso la lente analitica degli studi femministi sulla tecnoscienza. E a proposito di machine learning, nel libro faccio riferimento a un articolo di Alison Adam ed Helen Richardson, le quali affrontano il problema della relazione tra modelli computazionali, ragionamento e attività umane. Prendendo come esempio il progetto Soar, un’architettura cognitiva utilizzata per risolvere problemi di varia natura, Adam e Richardson notano che le evidenze empiriche sulle cui basi è stato costruito il modello cognitivo implementato nel sistema sviluppato presso la Carnegie Mellon University presenta caratteristiche interessanti dal punto di vista dell’analisi di genere. Gli esempi usati negli esperimenti di psicologia condotti per progettare il sistema informatico includevano logica simbolica, gioco degli scacchi, problemi matematici sottoposti a un campione ristretto formato da uomini bianchi americani con una laurea al college. Queste procedure vennero considerate universali e i risultati prodotti vennero incorporati nelle pratiche di progettazione del Soar, diventando un riferimento influente per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. In linea con altre osservazioni critiche, Adam e Richardson notano dunque che è problematico dedurre regole di ragionamento da problemi matematici e artificiali, e che fare riferimento a domande e compiti più ordinari (come per esempio sintetizzare un articolo di giornale) o includere quesiti di natura etica (perché gli Stati Uniti dovrebbero o non dovrebbero intervenire nella guerra del Golfo?) avrebbero potuto formare le idee sulla soluzione generale dei problemi in modo piuttosto diverso.

La questione del gender gap si lega dunque a doppio filo allo sviluppo di applicazioni di machine learning: un primo aspetto riguarda l’assenza o la scarsa presenza di donne (e, più in generale, di una composizione diversificata) nei team di ricerca e sviluppo, mentre un secondo, e conseguente, problema riguarda gli utenti ideali per i quali quelle applicazioni sono progettate, consapevolmente o meno”.

A proposito di esempi da seguire, quale tra le tante storie di “esclusione” professionale per donne digitali lette e ascoltate è stata quella che l’ha colpita di più? Perché?

“Nel libro – e nella ricerca più ampia dal quale il libro prende forma – ho scelto deliberatamente di rovesciare la questione del come mai le donne rimangono fuori o ai margini delle professioni tecniche dell’informatica? per indagare, invece, le motivazioni, le esperienze personali e professionali e i punti di vista critici di quelle poche che popolano il mondo dell’informatica. Questo approccio, che mette al centro l’esperienza delle professioniste in un campo tecnico fortemente segnato dagli squilibri di genere, mi ha infatti permesso di porre in questione la presunta neutralità dello stesso sapere tecnico, operazione che sarebbe stata difficile da compiere se avessi mantenuto il focus dell’analisi unicamente sulle dinamiche di esclusione.

Detto ciò, guardando all’informatica attraverso una prospettiva storica, nel libro racconto la storia delle cosiddette ENIAC Girls, ossia delle prime donne proto-programmatrici al lavoro presso l’ENIAC, il primo computer elettronico della storia costruito negli USA per scopi molteplici (non solo militari) durante la seconda guerra mondiale. Quello è un caso che si potrebbe definire di inclusione necessaria delle donne, e di successiva, progressiva esclusione”.

Un libro da leggere e 3 donne da seguire per approfondire il tema del digital gender gap?

“Se dovessi consigliare un libro su esclusione/inclusione, consiglierei Programmed inequality: how Britain discarded women technologist and lost its edge in computing, il libro di Marie Hicks di recente pubblicazione. Si tratta di uno studio molto accurato che descrive la sistematica e progressiva esclusione delle donne dal lavoro nel settore pubblico informatico britannico dagli anni Sessanta, con la conseguente perdita di prestigio e forza del settore stesso. I testi di storia della tecnologia, con particolare riferimento all’informatica, sono molto interessanti e fondamentali per capire come lo sviluppo tecnico non sia affatto un processo lineare, bensì socialmente costruito e attraversato da relazioni di tipo economico, politico e di genere.

Di donne da seguire ce ne sarebbero tante, molte delle quali poco conosciute. Mi vengono in mente Jill Dimond e Lilly Irani, ad esempio. Sono due ricercatrici, accademiche e attiviste che si occupano di studiare e costruire tecnologie digitali per scopi emancipatori. Jill Dimond ha lavorato alla progettazione e sviluppo di Hollaback!, una piattaforma digitale e un movimento nati per contrastare le molestie in strada (che avvengono soprattutto a danno delle donne e di persone LGBTQ) e favorire il libero movimento negli spazi pubblici.

Lilly Irani ha invece lavorato allo sviluppo di Turkopticon, una piattaforma digitale nata per consentire ai lavoratori di Amazon Mechanical Turk (il servizio di Amazon che recluta lavoro umano per svolgere piccoli compiti che i computer non sono in grado di performare) di raccogliere le opinioni sui datori di lavoro e denunciare forme di sfruttamento del lavoro, consentendo ai lavoratori di allearsi e di uscire dalle condizioni di invisibilità in cui si trovano. Hollaback! e Turkopticon sono due tecnologie che inscrivono usi e valori politici ben definiti, volti a contrastare forme di oppressione e discriminazione.

Poi ci sono tante altre donne da seguire, fonte di incoraggiamento e ispirazione: amiche, colleghe, professioniste, attiviste. Possono essere legami stabili e duraturi o incontri casuali eppure importanti. Credo avvengano e siano possibili nella vita di ciascuno e di ciascuna: bisogna solo riconoscerli e ricercarli”.

Sonia Montegiove