Raccogliere e conservare dati rappresenterà solo un costo per le aziende se queste non si organizzeranno per avviare processi di Data Intelligence, ovvero quell’insieme di pratiche e di strumenti che consentono di far avere il dato giusto alla persona giusta al momento giusto. Da una indagine IDC emerge che l’80% del tempo che un’organizzazione dedica ai dati è speso in attività di gestione, ovvero per ricerca, preparazione e protezione, mentre solo il 20% è dedicato ad attività analitiche per estrarre valore e informazioni.
Il dato IDC non è in contraddizione con quelli dell’Osservatorio del Politecnico di Milano che, parlando in particolare di PMI, rilevano come soltanto il 7% delle aziende ha avviato progetti di Big Data Analytics, mentre 4 imprese su 10 dichiarano di svolgere analisi tradizionali sui dati aziendali. Se si guarda alla consapevolezza e alla maturità tecnologica delle piccole e medie imprese, sempre dai dati dell’Osservatorio emerge come il 10% continui ad avere una comprensione scarsa o nulla di quali possano essere i vantaggi portati dall’analisi di Big Data. Andando a guardare le ragioni di tale approccio limitato, si vede come circa quattro aziende su dieci (il 42%) non attivino processi di Data Intelligence a causa di una visione limitata del fenomeno o della mancanza di risorse per effettuare investimenti tecnologici.
“Le priorità di business delle aziende – spiega Diego Pandolfi, research & consulting manager di IDC Italia – sono oggi focalizzate sul miglioramento dell’esperienza dei clienti, sullo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, sul time-to-market e sull’accelerazione dei processi decisionali. I dati sono al centro di queste strategie, ma continuano a crescere in maniera esponenziale e per le aziende diventa sempre più difficile orientarsi all’interno di questa complessità. Una corretta ed efficiente gestione dei dati può quindi effettivamente influenzare in modo positivo (o negativo) l’effettivo raggiungimento degli obiettivi aziendali. Gli strumenti di Data Intelligence sono in grado di fornire un supporto sia alle linee di business sia all’IT per una migliore conoscenza dei dati, una governance efficace e una corretta protezione, anche attraverso funzionalità innovative di automation, collaboration e machine learning”.
Perché Data Intelligence?
Adeguati strumenti e pratiche di Data Intelligence possono potenziare in azienda la capacità di trovare dati più facilmente e di comprenderne contesto e proprietà per un loro migliore utilizzo, con il risultato di “liberare” più tempo per la fase analitica. Con l’applicazione di Intelligenza Artificiale e di Machine Learning applicate ai metadati la Data Intelligence potrebbe inoltre permettere alle aziende di capovolgere la proporzione, concedendo l’80% del tempo ad analisi e viste approfondite, e solamente il 20% alle attività di gestione.
Da soli, i dati non fanno la differenza. Trasformare il dato in valore richiede appropriate tecnologie, ma anche una visione delle opportunità che i dati possono offrire, il tutto inserito in un’architettura in grado di assicurare scalabilità, velocità, protezione e flessibilità. Serve, dunque, un grado di consapevolezza in merito al potere della Big Data Analysis non sempre riscontrabile tra gli imprenditori. La ricerca Retail Transformation, realizzata dal Digital Transformation Institute e dal CFMT in collaborazione con SWG e Assintel, mostra come il 41% delle imprese intervistate dichiara di non vedere applicati processi di Big Data Analytics nelle proprie aziende clienti. Situazione che cambia se si guarda con una prospettiva di tre anni, dove il 52% delle aziende clienti dichiara di voler investire su questo.
“Molte aziende hanno approcciato il tema Big Data a partire dalla tecnologia – spiega Grazia Cazzin, responsabile dell’offerta del Centro di Competenza Big Data Engineering -. Questo ha generato raccolte dati senza obbiettivo ed errato posizionamento dei problemi: le questioni di data governance e di qualità, che sempre accompagnano i dati, aumentano esponenzialmente quando si parla di Big Data, ma questa consapevolezza sta maturando un po’ in ritardo. La Data Intelligence come supporto a questi problemi è un tassello importante nella catena del valore del dato, ma solo l’intenzionalità orientata da un obiettivo di business permette di organizzare a cascata le giuste azioni di valutazione e raccolta dati, necessarie a produrre il distillato informativo fattivamente utilizzabile e di reale beneficio. Per questo, soprattutto a livello PMI, è necessario lavorare con il business per una cultura di confronto, che stimoli scenari a valore aggiunto che permettano di esprimere il potenziale informativo dei dati, altrimenti destinato a rimanere confinato in un tema di costi”.
Cosa serve per avviare processi di Data Intelligence?
Il rapporto IDC spiega che per poter analizzare i dati e trasformarli in informazioni, in valore e quindi in leve competitive, è necessario sapere come conservarli, come mantenerli univoci e integri, come renderli catalogabili ed estraibili, integrabili e distribuibili. Nell’era della trasformazione digitale, quasi tutti i ruoli organizzativi utilizzano i dati per prendere decisioni informate nei processi aziendali di ogni giorno. Sfruttare la Data Intelligence per migliorare il ciclo di vita di gestione e analisi dei dati significa incrementare il livello di efficienza e produttività di molte figure aziendali. E anche un piccolo margine di miglioramento per ciascuna figura può portare a un sensibile aumento delle performance aziendali.
“I risultati della ricerca IDC – sostiene Stefano Epifani – non fanno altro che confermare due fatti: il primo è che tendiamo spesso a confondere le cose, di volta in volta il sintomo con la causa, l’obiettivo con gli strumenti per raggiungerlo, oppure il processo con il risultato, fa lo stesso; il secondo è che non dobbiamo mai pensare che sarà la tecnologia a toglierci dai guai. Quanto al primo punto, troppo spesso nelle organizzazioni in questi anni ci si è concentrati nel raccogliere dati in maniera del tutto aprioristica, talvolta dichiarando esplicitamente di farlo anche senza sapere a cosa tali dati sarebbero serviti. In un’ottica di Big Data Analysis questo non è un male in sé, intendiamoci, ma prima o poi il momento di farsi le domande deve arrivare, sennò non c’è Big Data che tenga. In altri termini se non mettiamo “intelligenza” (umana o digitale) sui dati questi inevitabilmente non produrranno valore. E tale intelligenza non può essere sconnessa dalle logiche di business e da chi tali logiche le sviluppa: ossia il management. Quanto al secondo, invece, nulla è più deleterio che pensare di risolvere i problemi dell’azienda (che siano di mercato, organizzativi, del management) con iniezioni di tecnologia. Se a tali iniezioni non corrisponde un’analoga applicazione (per rimanere in metafora) di una profonda riflessione sul senso che tali tecnologie hanno e avranno su mercato, organizzazione e management, nella migliore delle ipotesi non si otterranno risultati positivi… alla peggiore è meglio non pensarci”.
La Data Intelligence, secondo IDC, migliora anche il complesso delle operazioni relative ai dati, permettendo per esempio di applicare meglio le policy aziendali di accesso, utilizzo e protezione, oppure di elevare i livelli di disponibilità e resilienza. Senza contare le attività volte a migliorare la qualità e integrità dei dati e a evitare i casi di duplicazione, inconsistenza e inesattezza.
“Non c’è valore del dato senza intelligenza ad esso correlata – conclude Epifani -. A volte ci concentriamo sul valore dei dati senza riflettere abbastanza sul fatto che il vero valore è nel come li sappiamo utilizzare. Per questo è fondamentale promuovere una vera e propria cultura del dato nelle organizzazioni di ogni tipo. In fondo, per questo abbiamo creato Ingenium anni fa: perché il modo di utilizzare i dati, le modalità di sviluppo degli algoritmi, gli impatti che tutto ciò produce devono essere al centro della riflessione sul ruolo della trasformazione digitale!”.