The Economist qualche tempo fa titolava “Data is giving rise to a new economy”, visto che le cinque società quotate più importanti del mondo sono aziende tech specializzate nell’analisi dei dati. Giganti come Alphabet (compagnia madre di Google), Amazon, Apple, Facebook e Microsoft sono attualmente inarrestabili: i loro profitti sono in continua crescita e rappresentano collettivamente oltre 25 miliardi di dollari di profitto netto solo nel primo trimestre del 2017. Negli USA la sola Amazon raccoglie la metà di tutti i soldi spesi online, mentre Google e Facebook hanno registrato lo scorso anno il maggior tasso di crescita in pubblicità digitale.
Quale vantaggio competitivo per chi analizza dati?
I vantaggi di sfruttamento del capitale di dati sono reali, anche se ancora concentrati nelle mani di alcune grandi aziende. Pensiamo ad esempio ai data cloud in cui sono contenuti miliardi di profili utenti e aziendali, oltre a quelli relativi alle transazioni dei consumatori: tutti questi dati, seppur provenienti da un gruppo o élite di aziende, possono essere acquistati da altre per migliorarne l’efficienza in termini di marketing e/o per ridisegnare le strategie di comunicazione e engagement dei clienti via social. La liquidità dei dati è oggi un imperativo per qualsiasi azienda che intende creare nuovi prodotti e servizi digitali, e per farlo ha necessità di ottenere i dati desiderati nella forma più utile ed opportuna oltre che più semplice. La sfida più importante è proprio quella di rendere fruibili i dati anche per le piccole e medie aziende che possono così progettare nuovi modelli di business attraverso una governance data-driven.
Come cresce la produttività delle aziende
Un recente paper dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE) ha evidenziato che la crescita media in termini di produttività tra le migliori 100 aziende è stata del 3,5% mentre il restante dell’intero mercato è dello 0,5%. Questo divario è ancora più evidente nel settore dei servizi. Un asset che supporterebbe le imprese secondo lo studio sarebbe creare, elaborare e utilizzare “titoli unici di capitale di dati” da non diffondere ai competitor.
Rispetto all’occupazione, secondo i dati internazionali, i tassi sono cresciuti ma piuttosto che far aumentare l’indice di produttività del lavoro hanno contribuito alla crescita del PIL pro capite in molte economie, soprattutto negli ultimi anni. L’OCSE afferma che la produttività è una questione di “lavoro più intelligente” che deve essere considerata e misurata in relazione alla “produttività multifattoriale” piuttosto che in base al “lavorare più duramente e lungamente”. Del resto questa crescita di produttività riflette la capacità delle imprese di produrre maggiori risultati combinando in modo più efficiente gli input (quindi proprio i dati) attraverso nuove idee, innovazioni tecnologiche e nuovi processi organizzativi.
Dati e produttività
Uno studio condotto qualche anno fa da alcuni ricercatori del MIT e dell’Università della Pennsylvania sosteneva la tesi del concetto di dati come asset di capitale. Sulla base di survey condotte su quasi 180 grandi aziende pubbliche, i ricercatori hanno concluso che le imprese che confermavano di aver preso decisioni manageriali basate sui dati (DDD) raggiungevano il massimo in termini di produzione e produttività, dal 5 al 6 per cento in più rispetto alle altre. Complessivamente i risultati suggerivano che le funzionalità DDD potessero essere modellate come attività immateriali valutate dagli investitori e che aumentavano l’output e la redditività.
In questo senso l’uso “smart” dei dati e l’innovazione tecnologica ha premiato nel nostro Paese uno dei settori ancora considerato tradizionale, ovvero l’Agrifood. In termini di produttività i potenziali vantaggi per le aziende agricole italiane grazie all’innovazione tecnologica nel settore si prospettano dal 20% al 30%. È uno dei primi dati diffusi dall’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano secondo il quale oltre il 62% delle soluzioni offerte per l’innovazione digitale nel settore Agrifood sfrutta attualmente tecnologie dell’Internet of Things (IoT), che permettono di monitorare e controllare le attività in campo agroalimentare. L’86% delle soluzioni offerte, secondo l’Osservatorio, si applica alla coltivazione, ma la maggior parte è progettata per essere trasversale ai vari comparti della zootecnia; il 15% è specifico per il vitivinicolo.
Del resto, l’introduzione di innovazioni digitali potrebbe aumentare sia la competitività delle aziende sia la trasparenza dei processi oltre che la qualità dei prodotti finali raggiungendo benefici distribuiti sull’intera filiera.