MARKET | 6 Nov 2018

Il futuro del lavoro è già qui?

Intelligenza Artificiale, Robotizzazione e lavori che prima non c'erano: cosa è cambiato e cosa cambierà ancora

La trasformazione digitale ha un impatto così profondo sull’economia, sulla società e sulle persone da indurci a dover riflettere su cosa diventino le cose – e tra queste il lavoro – quando sono toccate dal digitale, la cui dimensione trasformativa produce un vero e proprio cambiamento di senso che, nel caso del lavoro, riguarda tanto il “come” si lavora (si pensi allo smart working, alle nuove forme di lavoro, al cambiamento dei luoghi, dei contesti e degli strumenti di lavoro) quanto soprattutto il “cosa” rappresenti e sia destinato a rappresentare il lavoro nella società dell’ormai non più tanto nuovo millennio”.

Così Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute, sintetizza il futuro del lavoro. Tra tanti numeri, ricerche, previsioni, una cosa è certa: il mondo è cambiato e con esso le professioni. “Il 65% dei bambini che attualmente entrano nelle scuole primarie farà dei lavori completamente nuovi, che non esistono ancora”. Previsione solo apparentemente futuristica quella riportata da The Future of Jobs del World Economic Forum, che si è già avverata per molte professioni emergenti. Se è vero, infatti, che entro il 2022 l’automazione “cancellerà” 75 milioni di posti di lavoro, secondo lo stesso World Economic Forum, allo stesso tempo ne saranno creati altri 122 milioni. Con competenze differenti, questo è certo.

Dove lavorano oggi gli specialisti ICT?

Secondo il rapporto Le imprese che assumono specialisti dell’ICT, pubblicato a luglio 2018 da ANPAL, in Europa sono oltre 8 milioni i professionisti dell’ICT, con la Gran Bretagna che detiene il primato con 1,6 milioni di specialisti digitali. Seguono Germania (1,5 mln) e Francia (1 mln). Italia sofferente da questo punto di visto, al 22esimo posto tra i Paesi UE per incidenza di specialisti ICT sul totale degli occupati: un 2,6% contro una media europea del 3,7%.

Quali i profili più richiesti?

Quasi 200mila le assunzioni di specialisti IT fatte nel 2017 in Italia, con una prevalenza di richieste riferite ai profili quali Tecnici degli apparati audio-video e della ripresa video-cinematografica (68.821 contratti) e Tecnici del montaggio audio-video-cinematografico (26.103). Seguono, con un numero inferiore di assunzioni, Tecnici del suono (18.185), Analisti e progettisti di software (15.293), Tecnici programmatori (12.553), Tecnici esperti in applicazioni (11.939), Analisti di sistema (5.704).

A livello di tipologia di contratto, secondo il rapporto ANPAL, per molte di queste qualifiche, la domanda di lavoro è caratterizzata da un’elevata frammentazione contrattuale, composta per lo più da rapporti di lavoro di breve e brevissima durata a carattere temporaneo.

Quale l’identikit dello specialista IT?

A lavorare in questo settore sono uomini, italiani, under 40 e con molta probabilità, vista la distribuzione geografica delle assunzioni 2017, con datori di lavoro lombardi (regione in cui si concentra il 5,2% dell’intera platea dei soggetti datoriali), laziali (4,3%) o piemontesi (4%).

Secondo EY le aziende, nella maggior parte dei casi, non hanno un piano di forza lavoro sul medio termine che tenga conto delle competenze presenti e delle possibili evoluzioni future.

E i competenti digitali?

Istat e Eurostat confermano l’ormai “tradizionale” bassa diffusione di competenze digitali all’interno del sistema imprenditoriale italiano. Nel 2017 solo il 16,2% delle imprese con almeno 10 addetti impiega esperti in ICT e solo un 2,9% del totale delle aziende che ha registrato assunzioni nel 2017, escludendo la Pubblica Amministrazione, ha richiesto competenze digitali.

Secondo EY in Italia solo il 29% della forza lavoro possiede elevate competenze digitali, contro una media Ue del 37%; divario destinato ad allargarsi vista la scarsa partecipazione dei lavoratori a iniziative formative (8,3% italiani contro 10,8) e il fatto che non più del 20% delle grandi aziende (e pochissime Pmi) ha cambiato il modo di fare formazione.

Un vero peccato, perché le scarse competenze digitali rappresentano un ostacolo alla crescita delle imprese secondo Assintel Report 2019. “Attraverso il rapporto annuale e l’osservatorio competenze digitali – afferma il presidente Assintel Giorgio Rapariandiamo a monitorare domanda e offerta di competenze legate all’ICT. E ogni volta, con grande rammarico, ci rendiamo conto che mancano in azienda figure in grado di ripensare e ridisegnare i processi pensandoli in digitale. Insieme a queste mancano i tecnici, persone formate adeguatamente per accompagnare la digital transformation delle aziende. Del resto, la rapidità dei mutamenti di mercato ha trovato impreparati i sistemi educativi e d’istruzione: ci vorrebbe una alternanza scuola-università-lavoro strutturata nel modo corretto, che consenta alle imprese di trovare nei giovani nuova forza lavoro da poter stabilizzare. Sarebbe utile anche avere un quadro normativo che garantisca flessibilità nei contratti di lavoro, necessaria a mantenere aperti quelli che io chiamo cantieri digitali, ovvero luoghi di lavoro e sperimentazione in cui le maestranze non possono essere “certificate” soltanto ma testate sul campo”.

Quale futuro del lavoro?

Intelligenza Artificiale e Machine Learning non sono più tecnologie future, ma hanno già trovato una loro trazione in ambito aziendale, spesso con impatti positivi sia sull’impresa che sui lavoratori. Questo il messaggio emerso da The Future of Work in a World of AI, ML and Automation tenutosi al CIO Symposium 2018, in cui si è parlato di un progetto del Dipartimento del lavoro americano che, tramite la creazione di un set di dati denominato ONET, ha preso in esame centinaia di profili professionali al fine di comprendere quali di questi potrebbero essere svolti meglio dall’AI piuttosto che dagli esseri umani.  Il team ha scoperto che per molti tipi di lavoro ci sono compiti che l’Intelligenza Artificiale può fare meglio degli umani, ma che allo stesso tempo ci sono ancora molti compiti in cui l’uomo supera l’Intelligenza Artificiale e l’Automazione. Nessuna sostituzione quindi, ma semplicemente cambiamento di mansioni e competenze.

Come sarà il lavoratore tra qualche anno?

A tratteggiare i possibili cambiamenti un report del recruiter Michael Page, che descrive le competenze (definite liquide) indispensabili per gli uomini e non replicabili dalle macchine: capacità di analisi approfondita e di giudizio, curiosità e il sapersi muovere in situazioni complesse. Oltre questo, il biohacking sarà realtà, ovvero l’installazione di microchip che consentiranno ai lavoratori di “potenziarsi” e affiancare i tanti robot che assumeranno le mansioni automatizzabili legate a compiti ripetitivi e basati su dati. Ad alleviare compiti lunghi, noiosi o fisicamente faticosi saranno i cobot, robot costruiti appositamente per la collaborazione che non si sostituiranno del tutto agli umani.

Elisabeth Reynolds, direttore esecutivo della Task of the Future Task Force del MIT, rassicurante afferma: “Ci sarà lavoro in futuro e la nostra sfida è assicurarci che quel lavoro sia un lavoro di qualità e che sia un lavoro accessibile”.

Sonia Montegiove