TECH | 20 Set 2016

Massimo Banzi: il futuro dell’IoT passa anche dall’Open Hardware

Co-fondatore del progetto Arduino, Banzi parla di sviluppo di IoT e di come l'Open Hardware e l'Openness in generale possono supportare i processi di innovazione

L’Internet delle Cose, che ha un giro d’affari pari a 2 miliardi di euro circa, nell’ultimo anno ha visto ogni giorno oltre 5 milioni e mezzo di nuovi oggetti connessi alla Rete. Le previsioni di recenti ricerche e studi parlano di quasi 21 miliardi di oggetti connessi entro il 2020. In crescita anche il numero di startup che sviluppano soluzioni innovative sfruttando l’Internet of Things, anche grazie a tecnologie hardware open come Arduino.

Arduino è una scheda elettronica di piccole dimensioni utile a creare rapidamente prototipi per scopi hobbistici, didattici e professionali. Con Arduino è possibile realizzare dispositivi come controllori di luci, di velocità per motori, sensori di luce, temperatura e umidità che utilizzano sensori in grado di “gestire” cose connesse a Internet. È fornito di un semplice ambiente di sviluppo integrato per la programmazione e sviluppato con software libero. E’ uno dei progetti più importanti (se non il più importante) di hardware open. Per comprendere meglio la storia e gli sviluppi del progetto abbiamo parlato con Massimo Banzi, co-fondatore del progetto Arduino, Interaction Designer, educatore e sostenitore dell’Open Hardware.

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Cosa rende Arduino per l’Iot Open, Sustainable e Fair?

Abbiamo cercato di introdurre i principi dell’open, sustainable e fair, per rispettare la vita e i diritti delle persone che utilizzano i prodotti realizzati con Arduino. La sfida è quella di riuscire a far comprendere come l’elettronica e l’hardware possano diventare buone, pulite e giuste.
Le piattaforme basate su Arduino sono tutte open source, con progetti liberamente consultabili (e questo anche a prevenzione della violazione della privacy degli utenti). Tutti i prodotti legati all’IoT pongono un problema rilevante, infatti, in relazione alle informazioni che raccolgono sulla nostra vita. Tutti i prodotti connessi in rete sono di solito accoppiati ad una varietà di servizi cloud e API e spesso la loro funzionalità di base dipende proprio da quei servizi per la raccolta dei nostri dati.
Questi dati vengono estratti dai sensori degli oggetti che abbiamo in casa o in ufficio per comprendere comportamenti e abitudini ad esempio con lo scopo di mapparci per migliorare (e quindi vendere meglio) un prodotto. Se questi dati vengono incrociati con altre informazioni definiamo in modo molto accurato il nostro profilo e quindi le nostre caratteristiche.
Questo è oggi uno dei più grandi rischi, tanto più elevato se parliamo di IoT. Negli smartphone, infatti, se un’applicazione vuole usare la telecamera lo chiede, mentre se un oggetto “smart” deve utilizzare un sensore per funzionare lo fa senza chiedere consenso prima.

La nostra scelta è stata dunque  quella di privilegiare la filosofia legata all’open source anche per implementate un circolo virtuoso in merito al problema della diversity e far sì che più persone possibili possano innovare in questo campo.
Crediamo che il modo migliore per promuovere la diversità in innovazione sia quello di costruire strumenti e tecnologie che possano essere utilizzabili dal maggior numero di persone possibile, anche senza particolari competenze tecniche. Più persone avranno accesso alla tecnologia, più innovative e diverse saranno le idee che circoleranno. L’utilizzo di Arduino permette e sostiene un modello di innovazione democratica.

Quali le potenzialità di Arduino per le imprese?

Indubbiamente i prodotti più esemplari in questo senso sono le stampanti 3D. Molte di quelle che sono sul mercato derivano da un progetto che si chiama RepRap e hanno una scheda madre Arduino.
Queste stampanti hanno consentito un lavoro di semplificazione per l’innovazione nel settore industriale: su di esse abbiamo tutte le informazioni utili per inventare un’altra macchina; possiamo pertanto utilizzare Arduino e tutto ciò che ha prodotto la comunità dei maker per altre macchine industriali riutilizzando codici, schede e il resto del lavoro già svolto da altri, ottimizzando così le risorse.
Abbiamo lanciato da poco la scheda Mxr1000, 25 per 60 mm circa, che contiene una connessione wi-fi come processore principale e un sistema per gestire batterie ricaricabili via usb e chip per la criptazione sicura. Attraverso questa scheda è facile creare e monitorare sensori e accedere in maniera rapida alla costruzione di oggetti connessi. Le aziende possono quindi implementare le proprie macchine utilizzando progetti già pronti.

Quale l’importanza degli ecosistemi aperti per i dati?

Una cosa interessante leggendo alcuni studi è che in riferimento agli sviluppatori IoT la maggioranza utilizza software open source. Poi non è detto che tutto debba essere libero, ovvero un ecosistema aperto, ma è fondamentale che il formato di scambio dei dati sia in formato aperto e interoperabile. Il fatto che grandi applicazioni web possano parlare tra di loro è già di per sé un cambiamento positivo che permette di inventarsi cose che assemblano informazioni provenienti da diverse sorgenti.
Le piattaforme hardware aperte hanno il vantaggio di accelerare l’innovazione nel settore dell’elettronica: un team di lavoro di persone senza grande esperienza di hardware ha infatti la possibilità di studiare, modificare, riusare pezzi costruiti da altri.
Questo modello è un acceleratore di innovazione senza considerare poi il fatto che danno l’opportunità di andare sul mercato in tempi brevi abbattendo la fase di prototipazione, risparmiando tempo, denaro e risorse.

Le imprese italiane sono pronte per l’Open Hardware?

In Italia ci sono molte aziende che usano tecnologie avanzate e innovative. L’aspetto che probabilmente le penalizza è la dimensione ridotta, tale da non permettere su alcuni tipi di innovazione una competizione a livello internazionale, ragione per cui le nostre imprese fanno più fatica di quelle di altri Paesi.
Da altri punti di vista l’Italia è un po’ strano come Paese: ha aziende incredibilmente innovative a livello mondiale (come per esempio DvSS, tra le prime sul mercato delle stampanti 3D) insieme ad aziende che non riescono a fare innovazione e che vanno sicuramente aiutate. In questo senso l’IoT fornisce molte opportunità alle imprese.
La Germania ha ad esempio scelto un approccio molto strutturato per implementare l’Industry 4.0, realizzando una filiera a supporto delle proprie aziende e creando un ecosistema di tecnologie, protocolli, consorzi, con collegamenti tra ricerca e prodotti che supporteranno le imprese. In Italia non abbiamo questa strutturazione.
Inoltre ho come l’impressione che nel nostro Paese manchi molto l’autostima: le aziende non si sentono di livello e faticano a farsi strada accontentandosi di obiettivi limitati e ridotti, non pensando in grande. Qui negli Usa quando partecipo alle Maker Faire la volontà di emergere e la forza delle idee, comprese quelle più semplici, sono già strutturate e con finalità imprenditoriali, a prescindere se si è realizzato qualcosa di realmente interessante. In questo senso forse c’è un aspetto culturale da indagare: ad esempio negli Usa la figura dell’imprenditore e dell’abilità del farsi da solo sono celebrati spesso dalla stampa e dalla società. In Italia mi sembra che gli imprenditori vengano citati solo per atti o situazioni negative (licenziamenti, chiusure, fallimenti, corruzione, evasione).
Nelle aziende di tecnologia internazionali con cui collaboro, trovo e incontro spesso italiani professionalmente di valore, ragione per la quale dovremmo valorizzare meglio queste risorse offrendo migliori condizioni per sviluppare il mercato.

Come gestire al meglio il rapporto IoT e Data Growth?

Si parla moltissimo di Big Data e dati poco strutturati. È evidente che l’IoT porta e porterà alla generazione di volumi sempre maggiori di dati. Se ad esempio attiviamo all’interno di una città sensori di vario tipo dalla luminosità dei lampioni, al monitoraggio idrico, alla mobilità, ecc. che misurano e raccolgono informazioni tutto il giorno questi sensori genereranno una quantità di dati enorme.
Quindi intanto si pone un problema relativo all’estrazione delle informazioni che non vada a violare o ledere la privacy delle persone e in questo senso c’è sempre maggiore attenzione in relazione al problema del monitoraggio degli individui.
Dal punto di vista più tecnologico, poi, si pone il problema di come comprendere qualcosa di importante caricando solo informazioni piccole e frammentate che individualmente vogliono dire poco o nulla. In questo senso si assiste ad uno sviluppo importante del machine learning ovvero di sistemi che permettono ai computer di comprendere ed estrapolare informazioni utili da grandi masse di dati.
Indubbiamente questo è un importante scenario per il futuro: utilizzando questo tipo di piattaforme è possibile infatti comprendere l’utilità di dati non strutturati: non a caso i maggiori player del mercato, da Facebook a Google, stanno investendo sui sistemi di machine learning e hanno acquistato almeno due o tre startup che sviluppano progetti di Intelligenza Artificiale.

Emma Pietrafesa