Spesso, troppo spesso, quando qualcuno ci indica la luna finiamo per concentrarci sul dito. E così, pensando alla digital transformation, ci vengono in mente droni, stampanti 3D, sistemi di digital manifacturing, e chi più ne ha più ne metta. Peccato, però, che si rischi di perdere di vista la reale essenza delle cose. Ciò senza di cui, al di là degli effetti speciali e delle meraviglie tecnologiche che talvolta sembrano avere sull’innovatore incauto lo stesso effetto delle biglie colorate per gli indiani (pardon, per i nativi americani), nulla funzionerebbe. Ciò che è alla base di tutto: il dato.
Innovazione e trasformazione digitale, concetti e temi di cui tanto (troppo) si parla oggi, nulla potrebbero se non ci si basasse sulla necessità di gestire dati per creare informazione e generare conoscenza. Le prime vittime della trasformazione digitale sono coloro, gli innovatori incauti appunto, che si convincono o si lasciano convincere da loschi druidi del cacciavite che l’innovazione parta dalle tecnologie. Nulla di più sbagliato.
L’innovazione parte dalla nostra capacità di analizzare processi, mercati, tendenze e persone.
Parte dalla nostra capacità di leggere il contesto e comprenderne la direzione. Parte, talvolta, dalla capacità di anticipare il cambiamento.
E per anticipare il cambiamento servono dati, informazioni, conoscenza. Quei dati, quell’informazione e quella conoscenza che rappresentano spesso il principale cruccio delle organizzazioni – dalle più semplici alle più complesse – che si rendono conto che la gestione di tali elementi è un driver strategico, ma che di rado riescono a concentrarsi realmente sul problema. Un po’ perché le perline colorate sono più attraenti e fanno più scena, un po’ perché la prima reazione ai problemi più gravi è spesso un poco risolutivo fenomeno di rimozione. Un po’, in fondo, perchè è difficile ammettere che in un momento in cui dovremmo parlare di come la digital transformation stia cambiando il senso delle cose siamo ancora fermi a ragionare di automazione dei processi. Quegli stessi processi che mentre tentiamo di automatizzarli sono totalmente cambiati, con lo sconfortante risultato di automatizzare, nella migliore delle ipotesi, processi estinti.
Insomma, per parlare davvero di innovazione e di trasformazione digitale non si può non partire dalla sostanza delle cose: i dati.
Il modo in cui essi possono e devono essere elaborati per estrarre informazione. Le modalità con le quali tale informazione si trasforma in conoscenza.
Big Data, Social Media, Internet of Things, Industry 4.0, Sharing Economy sono tutte realtà (e qualche buzzword) che ruotano attorno a questo semplice, fondamentale e troppo spesso ignorato punto.
Per questo Engineering e Tech Economy hanno deciso di sviluppare un nuovo progetto editoriale, Ingenium: nome noto a chi ruota attorno al mondo di Engineering, che con questa iniziativa rinnova in chiave di rete un’esperienza che fa parte della sua tradizione, conscia del fatto che la tradizione non è altro che un’innovazione che ha avuto successo.
Ingenium è uno spin off di Tech Economy interamente dedicato al tema della cultura del dato.
Nei prossimi mesi con Ingenium svilupperemo un percorso di conoscenza ed approfondimento dei temi centrali connessi al dato ed alla sua gestione. Parleremo del ruolo del Chief Data Officer. Intervisteremo gli esperti più importanti. Racconteremo le esperienze di successo e i fallimenti dai quali apprendere. Lo faremo cercando – come al solito – di sviluppare un discorso aperto, senza troppi tecnicismi, pensato tanto per concentrare ed articolare opinioni e punti di vista degli esperti quanto per rappresentare un punto di riferimento per chi ha bisogno di comprendere cosa vuol dire sviluppare un processo di digital transformation attuato a partire dalle basi. L’obiettivo è quello di diventare uno strumento utile per chi deve introdurre la cultura del dato in azienda, costituendo un punto di incontro, discussione e confronto in cui tutti possano condividere la propria esperienza e attingere da quella degli altri. Buon lavoro.
Stefano Epifani