PEOPLE | 24 Apr 2019

Innovazione sostenibile non è utopia

Intervista a Pierluigi Sassi, presidente di Earth Day Italia sul rapporto tra tecnologia e sostenibilità.

Innovazione c’è quando, pur senza rinunciare al profitto, si ricerca la sostenibilità, il rispetto per le culture e le persone e quando ci si avvicina il più possibile all’equità, ovvero alla possibilità che tutti possano avere pari opportunità”. Questa la definizione di innovazione di Pierluigi Sassi, presidente di Earth Day Italiaassociazione che sostiene il tema della sostenibilità attraverso l’organizzazione della Giornata della Terraistituita dalle Nazioni Unite 49 anni fa e arrivata alla decima edizione in Italia

Grazie al nostro movimento coinvolgiamo ormai 50.000 partner nel mondo e un miliardo di persone, tutte sensibili al tema dell’ecologia che, anche grazie alla enciclica di Papa Francesco, è diventata ecologia integrale, ovvero non più legata a doppio filo con l’ambiente, ma che comprende le dimensioni sociali, economiche e umane”. Una giornata, quella della Terra, festeggiata in 193 Paesi nel mondo e che vede l’apertura a Villa Borghese, dal 25 al 29 aprile, del Villaggio della Terra, una cinque giorni di conferenze, workshop, laboratori dedicati alla tutela del pianeta, con focus sui 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite

Le tecnologie possono essere viste come alleate o nemiche nella ricerca della sostenibilità? 

“Le tecnologie saranno alleate se utilizzate con la consapevolezza necessaria come supporto nel raggiungimento degli obiettivi fissati dall’agenda 2030. Pensiamo ad esempio ai Social Network: è  grazie a questi che Greta Thunberg è riuscita a costruire un movimento di giovani che finalmente stanno alzando la testa, lottano e fanno sentire la propria voce sui temi ambientali. Attraverso i social potremo far arrivare a molte persone messaggi importanti legati alla sostenibilità, ma potremo farlo solo se gli utenti li utilizzeranno conoscendone le dinamiche e le potenzialità. Del resto, uno dei grandi temi di cui si è discusso a Parigi quando si è siglato l’accordo sul clima era quello della literacy, della consapevolezza, che può esserci solo se si investe nell’educazione delle persone sia su temi ambientali che sulla cittadinanza digitale”. 

E se dovesse citare una tecnologia in particolare come alleata della sostenibilità?

“Uno dei temi più preoccupanti, che mina la possibilità delle persone di contribuire con una propria idea al miglioramento del pianeta, è quello del digital divide, che potrebbe trovare, almeno in parte, una soluzione nella diffusione del 5G. La connessione tra le persone ritengo sia fondamentale per consentire a un numero sempre crescente di persone di poter condividere la propria idea di sostenibilità. Quest’anno portiamo all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dei nativi, per esempio gli indigeni che vivono in Amazzonia, dove l’equilibrio uomo-natura è preservato e in cui esistono 390 culture e 240 lingue, con 100 culture ancora mai contattate dalla civiltà avanzata. Queste culture sono distanti da noi, non hanno possibilità di accesso alla tecnologia e a nuove forme di comunicazione, ma grazie a loro potremmo riscoprire un equilibrio uomo-natura che abbiamo dimenticato in ragione di un consumismo sfrenato e di una tecnocrazia a cui non sappiamo più reagire

Quando si parla di temi ambientali, si parla di dati che, se analizzati, potrebbero aiutare la comprensione di alcuni fenomeni a livello globale. Dati troppo spesso poco conosciuti e diffusi. Quale la soluzione?

“Come associazione portiamo avanti da sempre l’idea che l’apertura dei dati, la loro pubblicazione da parte dei soggetti che ne detengono la proprietà e che sono in grado di certificarli, contribuirebbe a consentire l’accesso alle informazioni da parte di tutti, a livello globale, e quindi la crescita di una coscienza collettiva sui temi della sostenibilità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che sono circa 250.000 le persone che oggi muoiono a causa del cambiamento climatico e che il 50% della mortalità infantile è legata a questo. Non stiamo parlando di cifre poco affidabili, stiamo parlando di dati che dovrebbero suonarci come un monito: “la stessa sopravvivenza della specie umana è a rischio”. Purtroppo, pur dovendo ragionare in termini globali non siamo in grado di farlo nel modo corretto se pensiamo che le decisioni di un solo capo di Stato come Trump, pronto a non aderire al patto sul clima, tanto per fare un esempio, possono mettere a rischio l’intera umanità. Si dovrà imparare a pensare in termini di pianeta, e fare questo necessariamente si dovrà passare dall’abbattimento delle barriere e dall’accesso alle risorse da parte di tutti per diventare cittadini del pianeta. Solo dall’apertura e non dal conservatorismo miope passano innovazione e sostenibilità. Aprirci agli altri rispettandone le differenze è l’unica strada possibile da percorrere”.

 

Sonia Montegiove