Internet of Things? Non ne ho mai sentito parlare. Sono in tanti a non sapere che molti oggetti intorno a noi sono diventati “smart”, intelligenti. Se possiedono un microprocessore, infatti, lampade, caldaie, televisori (solo per fare degli esempi), diventano digitali, si collegano in Rete e dialogano con noi e tra di loro. Internet delle cose, appunto.
Eppure tra le tecnologie destinate a cambiare profondamente il panorama ICT nelle imprese italiane, innovando o trasformando i processi e i modelli di business, spiccano i sistemi, le soluzioni e i servizi per l’Internet of Things. Parliamo di settori differenti, dalle applicazione per smart city alle smart car, da smart building a smart logistic, da smart metering a smart management, da smart factory a smart home.
Lo IoT entra in casa
Prendiamo, ad esempio, tutte quelle applicazioni di cui gli utenti fanno esperienza nella propria abitazione per gestire sicurezza, energia e confort, e che afferiscono a quella che viene definita Smart Home. I dati dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano parlano chiaro: il 41% degli italiani possiede un device intelligente per la casa e la Smart Home è una realtà che continua a crescere, come dimostrano i 380 milioni di euro di giro d’affari complessivo nel 2018 e una crescita del 52% rispetto al 2017 degli apparati e di soluzioni dedicate alla casa intelligente.
Tuttavia, se l’incremento è allineato a quello dei principali Paesi occidentali, in termini assoluti l’Italia continua a presentare numeri molto inferiori rispetto alla Germania (1,8 miliardi di euro, +39% rispetto al 2017), al Regno Unito (1,7 miliardi di euro, +39%) e alla Francia (800 milioni di euro, +47%), mentre è sostanzialmente allineata alla Spagna (300 milioni di euro, +59%).
Perché si scelgono applicazioni di Smart Home?
Secondo l’indagine, chi utilizza applicazioni di Smart Home lo fa per migliorare la sicurezza, scegliendo sensori per porte e finestre in grado di rilevare tentativi di infrazione, videocamere di sorveglianza, serrature e videocitofoni. Tutte le applicazioni citate pesano per 130 milioni di euro (35% del mercato globale). Seguono i prodotti per la gestione del riscaldamento, cioè caldaie e termostati connessi e gli smart home speaker, ovvero gli hub dotati di altoparlanti che riducono la complessità di connessione e gestione degli oggetti intelligenti in casa e sono basate sul riconoscimento vocale: quest’ultimi sono giunti, grazie alla diffusione del 2018, a coprire il 16% del mercato, per un valore assoluto di 60 milioni di euro, trainando – direttamente o indirettamente – buona parte della crescita complessiva. A seguito del loro lancio, infatti, si è riscontrato un incremento significativo delle vendite anche di altri oggetti smart per la casa, come quelli legati al riscaldamento e all’illuminazione.
A conferma di questo trend di crescita, secondo la ricerca Retail Transformation, realizzata dal Digital Transformation Institute e dal CFMT in collaborazione con SWG e Assintel, sebbene solo il 10% degli utenti abbiano controllato la tv usando lo smartphone o altri dispositivi domestici, ben il 61% è interessato a usare il cellulare per avviare un processo di automazione e controllo di alcuni oggetti della propria abitazioni, per programmarne il funzionamento quotidiano, o per fare in modo che rispondano da remoto alle loro esigenze.
Quanto ne sanno i consumatori?
Se crescono conoscenza e diffusione degli oggetti smart, secondo l’Osservatorio Polimi i consumatori non sembrano ancora percepire le reali potenzialità di utilizzo degli oggetti smart: ben il 42% di chi possiede un oggetto connesso non ne usa le funzionalità più avanzate, perché non le ritiene utili (41%), non ne ha l’esigenza (34%) o per l’eccessiva complessità del prodotto (14%). Il 51%, inoltre, è molto preoccupato di come questi oggetti parlino di noi, dunque temono la violazione della privacy e i cyber attacchi. Chi invece non possiede oggetti connessi, non pensa di farlo in futuro perché non ne avverte la necessità (41%), li considera troppo futuristici (19%), non ne comprende appieno i benefici (12%) o non ne ha ma sentito parlare (8%).
Dunque, l’internet delle cose entra nelle nostre case, le connette, le rende intelligenti, ma le questioni aperte sono diverse: la poca preparazione degli addetti all’installazione e alla vendita, pochi servizi di valore abilitati dagli oggetti connessi, l’enorme mole di dati messi a disposizione dagli oggetti smart non sufficientemente valorizzato e, non ultimi, i problemi legati a privacy e cyber security. Infine, le tecnologie IoT per la comunicazione degli oggetti smart in casa (e non solo) sono ancora molto eterogenee, a causa della molteplicità di requisiti applicativi richiesti dai diversi oggetti connessi. Bisogna, invece, puntare su interoperabilità e integrazione.
E le aziende?
La spesa IoT delle aziende, secondo il Rapporto Assintel 2019 – Il mercato ICT e l’evoluzione digitale in Italia delle aziende italiane, entro il 2019 crescerà con un incremento medio annuo superiore al 18%. “Il mercato IoT è destinato ad assorbire, a ridisegnare e a estendere la gamma di sistemi e servizi ICT finora conosciuti, includendo via via nuovi device, software sempre più evoluti e servizi innovativi più flessibili e fruibili attraverso più canali”, puntualizza il rapporto. Inoltre, seppur con una complessità significativa, le imprese ICT credono, secondo l’indagine Retail Transformation del Digital Transformation Institute, che circa il 30-38% delle proprie aziende clienti intendano investire nelle applicazioni IoT nel prossimo anno.
Stefania Farsagli