MARKET | 19 Apr 2018

Vendere KPI

E se il “problema” dei vendor di rispettare i Key Performance Indicator si trasformasse in vantaggio competitivo?

Da qualche mese frequento una palestra. Ho assoldato una personal trainer che mi dà indicazioni su esercizi e alimentazione e che periodicamente mi riceve per verificare se sto raggiungendo i risultati che lei si aspetta io raggiunga in virtù del fatto che seguo le sue indicazioni.

Ogni volta che ci incontriamo, ovvero una volta al mese circa, mi “misura”, fa alcune elaborazioni che ha cercato di spiegarmi – non di convincermi della loro validità, ma solo di spiegarmi – e sulle quali io non sono tenuta a esprimere giudizio o opinione (che evidentemente ho), e mi rilascia una pagina stampata dove in alto a destra in caratteri cubitali ci sta stampata una percentuale. Questa percentuale è la mia massa muscolare rapportata alla mia massa complessiva. A fianco, in piccolo, in carattere italico, c’è scritta una ulteriore percentuale che rappresenta il valore a cui devo tendere, ovvero quanto la rilevazione che lei fa su di me dovrebbe essere.

Io vorrei che lei mi chiedesse che esercizi ho fatto e per quanto tempo mi sono allenata, vorrei che misurasse l’impegno che ci ho messo, invece del risultato, ma non c’è verso, lei guarda quel numero. Così quando mi consegna la scheda anch’io guardo quel numero: solo quel numero. Non interessa il resto. Ripiego il foglio, osservo di traverso la sua espressione per catturare un qualche giudizio. Generalmente lei è scontenta, mi dice che non faccio abbastanza, mi dice “non ci siamo”, si capisce che si aspettava di più: tutto perché quel numero non è variato dall’ultima volta che ci siamo viste, o almeno non è variato abbastanza. Io vorrei poter dire che invece ho fatto molto. E vorrei poter fare e rifare e rifare ancora una domanda: cosa sbaglio? Cosa mi suggerisci? Ma sarebbe inutile: la sua risposta è già scritta in carattere grassetto in fondo alla pagina: “Se non migliori, sbagli qualche cosa di quanto ti ho detto di fare”.

Misurazione della performance: la storia

La propensione degli esseri umani a misurare ha origini antichissime. L’Osso di Lebombo è probabilmente uno dei più antichi manufatti di uso matematico mai realizzati dall’uomo: consiste di una fibula di babbuino che porta incise molto chiaramente 29 tacche. Il reperto è stato datato al 35.000 a.C.. La misurazione fine a sé stessa si è sviluppata nel tempo ed è diventata base per diversi tipi di valutazione. Nel ‘700, Ignazio di Loyola per evidenziare il rapporto tra le caratteristiche dell’educazione ignaziana e la sua visione spirituale impose ventotto caratteristiche fondamentali  divise in nove sezioni, che le scuole gesuite dovevano avere, e diede indicazione di valutarle continuamente.  Nel management, da Luca Pacioli a Venezia nel 1400, a Norton e Kaplan nel 1992, la misurazione della performance è diventata strumento di governo e controllo e l’attenzione si è spostata da un lato sull’importanza di cosa misurare e dall’altro su come fare in modo che misurare e valutare possano trasformarsi in strumenti che coadiuvavano il perseguimento delle strategie definite e il continuo miglioramento. Oggi la pratica di impostazione e monitoraggio continuo di Key Performance Indicator (KPI) per governare le organizzazioni di ogni tipo è materia studiata ed applicata dalla maggior parte di executive e manager (cfr The KPI Institute) .

Quali le aree in cui misurare è strategico?

Un’area di utilizzo di KPI assolutamente interessante è il procurement e dato che l’utilizzo strategico del parco fornitori rappresenta ormai un presupposto essenziale per gestire con successo l’intera Supply Chain, negli ultimi anni l’area approvvigionamenti ha visto crescere la propria importanza per controllare alcuni pilastri della competitività aziendale, come: la qualità del prodotto, il suo prezzo/costo e il livello di servizio erogato (Stabilini, 2005).

Il fenomeno è molto spesso analizzato dal punto di vista dei buyer ovvero ci si concentra sull’importanza di definire da un lato degli indicatori di performance e dall’altro dei target per le misure scelte che diventano condizione di pagamento se non anche di proseguimento delle attività contrattuali (SLA) per i vendor. Questi molto spesso percepiscono tutto ciò come imposizione e il più delle volte non si preoccupano di interpretare e comprendere le necessità di processo che i buyer esprimono in questa forma.

L’effetto può essere devastante e generare insoddisfazione lato buyer e frustrazione lato vendor. Lavoro frequentemente con organizzazioni che devono definire propri impianti contrattuali in area progetti e servizi IT e che chiedono supporto consulenziale per definire un sistema di misurazione efficace, che cioè sia veicolo per loro di raggiungimento dei propri livelli di qualità aziendali, e in parallelo molto spesso opero a fianco di gruppi di lavoro a cui viene richiesto di rispettare le condizioni contrattuali volute dai buyer. Il sistema contrattuale, originato da princìpi assolutamente sani, sembra spesso non funzionare come ci si aspetta.

Alcune riflessioni per i vendor

Vendere KPI è una opportunità
Prima di tutto penso che i sistemi di KPI/KPO e associati SLA che i buyer ci sottopongono devono essere interpretati come opportunità. Nel passato spesso l’acquisto di progetti e servizi IT veniva fatto in giorni/persona erogati o in deliverable rilasciati. Entrambe le modalità ci ponevano dei limiti e consentivano a chi compera di richiedere specifici professionisti, di volerli avere presenti presso le proprie sedi, di rifiutare alcuni deliverable e alcune modalità di servizio arbitrariamente, di non ritenere adeguati specifici deliverable sulla base di opinioni non oggettivabili. Vendere KPI “libera” i vendor da tutto ciò e ci consente di operare come meglio riteniamo con l’unico obiettivo di soddisfare quello che il cliente desidera di poter avere e che è rappresentato dal valore che alcuni indicatori devono assumere.

Vendere KPI con successo implica comprendere la necessità del buyer
Per poter sfruttare al meglio questa situazione di “libertà” e allo stesso tempo fare in modo che il cliente sia pienamente soddisfatto è importante porre attenzione alle ragioni che hanno portato il buyer a formulare determinati indicatori e associati target. Dietro alla contrattualizzazione di progetti e servizi tramite l’accordo su specifici livelli di performance ci sono generalmente dei processi del cliente che devono funzionare nel loro complesso con determinati livelli di qualità e le parti affidate all’esterno devono necessariamente essere allineate e contribuire al risultato complessivo. Noi vendor dobbiamo fare lo sforzo di comprendere come il lavoro che facciamo si incastra nel processo complessivo di chi compera

Vendere KPI aggiuntivi ed eventualmente dinamici
Noi vendor di progetti e servizi IT in questo contesto possiamo radicalmente cambiare il modo di “vendere” e distinguerci definitivamente come “generatori di qualità”. Possiamo essere propositivi proprio di KPI, offrire noi per primi di lavorare per KPI, offrire KPI aggiuntivi e proporre a chi compera di svolgere attività e realizzare prodotti offrendo “il raggiugimento” di valori target di specifici indicatori di performance scelti dopo aver adeguatamente interpretato le esigenze del buyer. Possiamo proporre indicatori che variano nel tempo secondo le esigenze dello specifico contratto, indicatori dinamici, che misurano fasi di lavoro diverse: in ogni caso abbiamo l’enorme opportunità di vendere quello che i clienti più chiedono che è il raggiungimento della “propria performance”.

Vendere KPI implica automisurarsi con i medesimi KPI
Il contesto è di stimolo a un ulteriore passo auspicato: che il vendor stesso si automisuri tramite un sistema di KPI/KPO che possa mediamente risultare interessante per i buyer e che costituisca una base contrattuale propositiva. Quello che penso è che invece di aspettare che i clienti formulino i propri KPI e SLA, il vendor, in virtù del fatto che sottopone le proprie strutture a delle misurazioni di qualità in modo continuativo, potrà offrire ciò che fa ed è. La formula di “autoregolarsi in linea con le necessità dei clienti” è il modo migliore per efficientarsi, lavorare al miglioramento continuo, apprendere dal cliente ed eliminare la frustrazione di cui abbiamo detto sopra.

“If we want to be in control of our happiness, we should be in control of our performance”

Aurel Brudan, CEO di The KPI Institute, scrive: “While happiness can represent many things to many, a common expression of this feeling is the result of the purposeful achievement of a desiderated. Achieving something we want, while shared with others, is about us and reverberates strongly in our inner self. Transposing this powerful catalyst of performance in both our personal and organizational lives is facilitated by a new paradigm: happiness is driven by achievement. Achievement is an expression of performance. If we want to be in control of our happiness, we should be in control of our performance”.

Credo che questa citazione sia la miglior conclusione per queste riflessioni.

Maria Cristina Barbero