Se ne parla da anni, eppure sistematicamente, ogni volta che si approccia un nuovo lavoro, un nuovo progetto, un nuovo contratto, un nuovo cliente, qualcuno, prima o poi, di fronte a una proposta di cambiamento o innovazione, in qualsivoglia contesto aziendale, pronuncia la fatidica frase: “Non si può fare, ma il problema non è tecnico (o organizzativo, di denaro, o di tempo, o di risorse), il problema è culturale”.
Quando qualcuno, anziché parlare di difficoltà organizzative, o di risorse o di tempistiche, tira in ballo la faccenda culturale, a me personalmente verrebbe sempre da rispondere: e quindi?
Intendiamoci, il concetto di cultura è complesso e attiene a circostanze che partono dall’individuo – dalla propria identità e capacità, evoluzione, orgoglio e senso di sé e mille altre cose – e si estende all’intera comunità di cui fa parte, ma se qualcuno risponde a un’idea di rinnovamento alzando la paletta dal lato del “no” e giustificando la scelta con l’attributo culturale – un po’ come i progetti che falliscono sempre e solo per mancanza di comunicazione -, è chiaro che manca in primis il senso del domani. E questo vale ancora di più quando si parla di tecnologia, che per sua stessa natura evolve (meglio e più velocemente) in un contesto culturale favorevole e fa evolvere in maniera dirompente la cultura di cui si nutre.
Understand the big picture
Ci sono operativamente molti modi per avere la famosa mappa del dove siamo e dove stiamo andando, esistono framework consolidati di Business Analysis che permettono di identificare i bisogni dell’organizzazione, di definire la strategia del cambiamento e il Solution Scope, ma se ci interessa realmente sapere cosa diventerà il progetto che abbiamo iniziato, dovremmo sforzarci tutti di allargare i nostri orizzonti, di avere nuove idee e non semplicemente reingegnerizzare i processi. Dovremmo sempre tenere a mente che il contesto in cui operiamo è soprattutto un contesto digitale; che le nostre decisioni sono basate su informazioni e che l’informazione – e la nostra stessa immaginazione – si nutre di dati. E il valore dei dati dipende da quanto siamo disposti a investire per essere pronti a ricevere input che ci consentano di prendere le decisioni giuste, non solo per il business ma per il futuro di tutti noi.
Va detto che qualcuno già lo fa.
La cultura dei pagamenti digitali: il caso Telepass
Nell’ottica di diventare il primo player per la mobilità in Italia, evolvendo la propria identità da specialista della riscossione automatica dei pedaggi autostradali a fornitore di servizi per la mobilità, Telepass ha iniziato il cammino verso la digitalizzazione superando l’adozione di un diverso modello tecnologico a favore di una rivisitazione del proprio modello di business, a cominciare dal progetto di onboarding Telepass Pay che ha portato al raddoppio delle adesioni in un anno. Il progetto nasce, infatti, come piattaforma di servizi per rispondere da un lato ai bisogni che emergono in diversi momenti della mobilità – dal pagamento del parcheggio all’imbarco dei traghetti, dai pagamenti RCA alla sosta in strisce blu, fino al rifornimento carburante – e dall’altro in risposta agli scenari di cambiamento introdotti dalla direttiva europea 520 del 2019 che, di fatto, ha aperto all’ingresso di nuovi operatori in un mercato finora appannaggio esclusivo di Telepass.
Ma non si può diventare il primo player in Italia per la mobilità senza conoscere la propria utenza – senza una accurata lettura dei dati aggregati di quest’ultima – e senza aver chiara la cultura dei pagamenti digitali nel nostro Paese.
Negli ultimi quindici anni in Italia il numero di pagamenti digitali pro capite è aumentato sensibilmente, ma è aumentato alla stessa velocità anche il dato degli altri Paesi europei. Il nostro ritardo nei loro confronti è rimasto pressoché invariato. Nel 2017, i pagamenti pro capite annui con carte sono in Italia 42 contro 120 a livello europeo. Qualunque prodotto si pensi di innescare in questo scenario deve avere dunque necessariamente una serie di caratteristiche che permettono di superare la preferenza atavica e culturale di una grossa fetta di utenza per il contante (che si mantiene di diversi punti percentuali superiore ai Paesi nostri concorrenti).
Sviluppare tuttavia un prodotto con simili specifiche è condizione necessaria ma non sufficiente: occorre poi assicurarsi, attraverso una corretta comunicazione, che il consumatore ne percepisca il valore anche grazie a una strategia di Social CRM, come ha fatto Telepass trasformandosi da entità astratta e associata al rito non certo piacevole del pedaggio autostradale in un talkable brand, che dialoga in tempo quasi reale con i suoi clienti più digitalmente attivi. La pagina Facebook di Telepass conta circa 35.000 utenti: una community che chiede informazioni, fa reclami, posta consigli mentre l’azienda risponde alle richieste dirette e ne stimola la discussione e il coinvolgimento, cercando allo stesso tempo di attrarre nuovi talenti e di sviluppare nuovi prodotti attraverso call to action.
E se fino a ieri i nostri sensi associavano il cartello con sfondo giallo all’ingresso dei caselli autostradali con un semplice accesso facilitato, oggi lo stesso logo esprime e la volontà di continuare il cammino digitale intrapreso e la curiosità di sapere come diventerà domani il nostro progetto di innovazione.