MARKET | 6 Ott 2016

Le Telco possono competere con gli Ott grazie ai Big Data

Intervista di Stefano Palumbo a Roberto Vicentini

Roberto Vicentini, Direttore della Divisione Telco e Media di Engineering, ha fatto parte del panel che ha elaborato lo scenario TLC 2025. La ricerca ha esaminato i temi della trasformazione digitale sia in riferimento alle sue implicazioni per il business di questa filiera, sia in chiave di grandi temi sociali ed economici. Ed è proprio su un tema molto ampio che abbiamo iniziato a conversare.

L’indagine che abbiamo appena concluso sottolinea che nei prossimi anni vivremo, anche in Italia, un’esplosione della produzione dei dati. La domotica, le smart city, le auto intelligenti, le transazioni digitali e, in generale, la digitalizzazione di gran parte dei servizi, forniranno strumenti sempre più sofisticati di profilazione delle persone. Da questo deriverà una crescente possibilità di influenzare in maniera personalizzata le preferenze e le scelte del consumatore. I Big Data si apprestano a diventare il “persuasore occulto del XXI secolo”?

Io non parlerei di persuasore occulto. Le grandi basi di dati esistono da tempo, ma oggi disponiamo anche delle tecniche e delle competenze necessarie a combinarli in maniera originale, a elaborarli e a interpretarli, costruendo basi informative basate su informazioni spesso di provenienza diversa ma che possono assieme descrivere una tendenza ed esprimere anche una valenza decisionale. Il risultato può essere da vari punti di vista benefico per il consumatore, perché lo può supportare nel suo processo decisionale, sia dal punto di vista delle logiche di acquisto, sia dal punto di vista della relazione che ha con il suo fornitore, l’operatore telefonico, in termini di loyalty. Il consumatore non ha necessità di raccogliere informazioni per prendere le proprie decisioni, perché gli vengono veicolate in maniera mirata in base all’analisi dei dati.

La raccolta delle informazioni è realizzata chiedendo un consenso al cliente, che quindi è informato sul fatto che il fornitore di servizio raccoglie dati su di lui. In Europa, inoltre, abbiamo leggi molto stringenti sulla privacy. Tuttavia, a valle della raccolta c’è l’uso del dato ai fini di mercato. Ciò che fanno Facebook o Google è raccogliere dati dettagliati su di me (i libri su cui ho cercato notizie, i temi su cui ho letto articoli di giornale, la rubrica del mio smartphone, i luoghi in cui sono andato) e usarli per mandarmi messaggi del tutto personalizzati di tipo pubblicitario su ciò che suppongono mi interessi. Quindi, non sono più raggiunto da messaggi relativi al mio target (uomo, laureato, fra 50 e 60 anni, etc.), ma da messaggi pensati proprio su di me come singolo individuo. Il che li rende estremamente più potenti, più persuasivi, appunto.

Sì, ma l’operazione di marketing condotta grazie ai dati non è occulta. È un’influenza che il consumatore può percepire, e per la quale è stato chiesto un consenso. Il vantaggio per il consumatore è quello di non essere bombardato da messaggi pubblicitari del tutto slegati dalle sue idee, dai suoi gusti, dai suoi bisogni. Il fatto che uno parta dai dati che lui produce e gli proponga stimoli coerenti non è di per sé invasivo, lesivo della sua privacy.

La ricerca dice che le Telco in Europa resteranno vincolate dalla normativa, schiacciate fra le regole e gli Ott. Si riconosce in questa previsione? È inevitabile che siano solo gli Ott a sfruttare i Big Data e che quindi il “giacimento” di cui dispongono gli operatori di Tlc resti preda delle scorribande d’Oltreoceano?

Gli operatori hanno le stesse informazioni ma non le possono usare: o meglio, hanno la sensazione di non poterle usare, a causa dei problemi di privacy. Ma la customer experience, arricchita con altri tipi di informazioni, può diventare anche per loro un’informazione vendibile. Gli operatori hanno una propensione culturale a considerare il dato da loro trattato come un “dato sensibile”. È comprensibile che ciò accada, poiché su questo tema sono spesso esaminati dal Garante della Privacy o da quello delle Comunicazioni per comportamenti che potrebbero essere lesivi dei diritti del cliente.

Gli operatori, lei dice, hanno la sensazione di essere vincolati dalla privacy. Lei invece mi sembra convinto che non sia così. Perché c’è questa sensazione e perché è errata, a suo avviso?

Al di là delle preoccupazioni inerenti il rispetto delle normative, intervengono anche elementi organizzativi. All’interno delle Telco, infatti, vi sono vari settori che gestiscono i dati dei clienti. Una parte dei dati viene dalla manutenzione della rete; altri sono legati alla dimensione commerciale, al rapporto diretto con il cliente tramite il Crm; altri ancora sono i dati di consumo, che sono dati sensibili, che gli operatori sono tenuti a custodire, anche in funzione delle esigenze della giustizia. Chi in azienda custodisce i dati tende ad avere un atteggiamento molto prudente su questo terreno. Quindi, i vari settori, che possiedono dati di tipo diverso, tendono in certa misura a utilizzarli in maniera separata, frammentata.

Noi di Engineering riteniamo che le Telco sul terreno dei Big Data perdano una grande occasione. In realtà i dati possono essere anonimizzati e quindi gestiti nel pieno rispetto della privacy. Se gli operatori utilizzassero tutti i dati in loro possesso potrebbero ricostruire in maniera molto raffinata la “customer experience”, mettendo insieme dati di consumo (quante telefonate, di quale durata, a quante persone, etc.), dati di tipo commerciale (in quale misura il cliente è fedele all’operatore, oppure che tende a cambiare di frequente; ma anche quali contatti ha con il customer care, quanto frequenti, con quali risultati, e così via), dati di tipo tecnico, di rete (problemi di copertura, di linea, etc.). Con queste informazioni è possibile fare un profilo del consumatore. Questi sono tutti dati che un operatore telefonico possiede, perché provengono dal suo stesso sistema. Ma oggi l’operatore le utilizza in maniera molto parziale.

Voi avete messo a punto un’offerta di servizi che vuole supportare le Telco sulla gestione dei dati. Come è concepita quest’offerta?

Intanto, va tenuto presente che le competenze necessarie all’analisi dei dati non sono generiche, trasponibili facilmente da un’industry all’altra. Il Data Scientist deve avere competenza di mercato: se lavora per una compagnia telefonica deve capire abbastanza bene quali siano le problematiche telefoniche, perché deve sapere quale tipo di correlazioni deve cercare e il tipo di algoritmo che deve implementare. Quindi, per offrire servizi a questo settore, bisogna conoscerlo. E questa è una qualità che noi abbiamo, perché già oggi forniamo servizi per la gestione dei dati dei clienti e abbiamo una conoscenza approfondita dell’industry.

In questa filiera un’azienda come Engineering può avere tre ruoli:

  • essere quella che si occupa di reperire e sistematizzare i dati che poi qualcuno analizzerà (una professionalità che nasce dalla competenza sui vecchi datawarehouse);
  • fare progetti di system integration per creare piattaforme che consentano di elaborare i dati;
  • oppure – e soprattutto – c’è la possibilità di esprimere una competenza specifica sui dati che si vogliono produrre e fornire il servizio di raccolta, correlazione, analisi e interpretazione dei dati, fornendo una serie di insight utili per le scelte di mercato del cliente: un prodotto finito, insomma.

Come dicevo, il Data Scientist è in grado di aggiungere valore alle informazioni su cui opera grazie alla sua capacità di arricchirne l’interpretazione. Su questo aspetto noi ci stiamo posizionando, come fornitori di informazioni e servizi, più che di piattaforme.

Offrendo all’operatore un dato già aumentato di valore – basato sulle informazioni che l’operatore stesso ha già in casa, ma arricchito da ulteriori correlazioni – gli si possono fornire indicazioni, ad esempio, utili per lo sviluppo di un nuovo servizio, o di nuovi sistemi tariffari, mirati su specifici profili di cliente.

Gli operatori sono in ritardo, non hanno ancora percepito a fondo il valore che il dato possiede. In realtà, qualcuno nelle Telco questo lo ha percepito e ha varato alcuni progetti basati sui Big Data. Ma spesso sono diversi settori che lo fanno, e ognuno lo fa per i propri dati, con un coordinamento scarso o proprio assente. In altri casi, si tenta la vendita di servizi basati sull’uso dei dati, ma le capacità commerciali sono ancora deboli. Le Telco, dunque, lasciano ancora molto spazio agli Ott, pur avendo, potenzialmente, la capacità di entrare in competizione con loro su questo terreno.

In sostanza, è possibile aiutare le Telco ad essere più competitive con gli Ott sul terreno della valorizzazione dei Big Data.

Certo, e questo potrebbe anche promuovere la loro capacità di servizio. Perché oggi sono schiacciate sul presidio della connettività e non hanno abbastanza presenza sul contenuto delle comunicazioni e quindi sull’offerta di contenuti e servizi. Non è detto che sia ineluttabile lasciare a Netflix il dominio dei contenuti video, o a Whatsapp il dominio delle comunicazioni, anche quelle della voce, ormai.

Stefano Palumbo