Speranza è la parola che Dario Buttitta, direttore della divisione Pubblica Amministrazione e Sanità di Engineering, associa in questo momento a trasformazione digitale della PA italiana. “La speranza e una visione ottimistica per l’innovazione in PA – afferma – sono oggi legate al fatto che questo Governo ha riconosciuto e dato valore al tema grazie all’istituzione di un Ministero e alla nomina di una Ministra di riferimento. Questa mi sembra una decisione di grande rilievo, anche se al momento nulla possiamo dire sugli effetti reali che produrrà. Bisognerà aspettare, ma questo è un segnale forte, importante”.
Qual è la situazione oggi della PA, al di là dell’indice DESI che mette il nostro Paese al quartultimo posto nella classifica degli Stati UE con maggiori competenze digitali?
“Ci sono, dal mio punto di vista, Comuni e Regioni virtuosi, che non solo hanno introdotto tecnologia, ma hanno fatto innovazione di processo, ovvero hanno cambiato il loro modo di fare le cose grazie al digitale. Che è poi ciò che si chiede all’innovazione. La PA centrale, invece, con il suo pesante apparato burocratico si muove come sempre più lentamente, è ancora troppo distante dai cittadini e utilizza ancora troppo poco la tecnologia come strumento per avvicinarsi e ascoltare”.
Cosa limita l’innovazione in PA?
“Il limite più grande della nostra Pubblica Amministrazione sta nel modo di acquistare innovazione attraverso modalità di procurement poco adatte ad acquisire un servizio nello stesso modo in cui si acquistano risme di carta, e che non può prevedere i tempi lunghi che caratterizzano, invece, le gare pubbliche. Quando, come Amministrazione, ho bisogno di acquistare una consulenza per un progetto innovativo non posso aspettare due anni perché dopo questa attesa il progetto non avrà più senso di esistere. Il problema è noto e ce lo trasciniamo da anni. La soluzione non può che essere nella completa riscrittura del codice degli appalti, che dovrebbe essere diverso per servizi e opere pubbliche e dovrebbe dar vita a regole che non tendono a ingessare i processi di acquisto, ma a renderli più flessibili e quindi adatti ad avere servizi di supporto per i progetti innovativi. Non si può costruire un sistema carico di regole finalizzate a un controllo troppo rigido e dimenticarsi che le gare si fanno per “fare le cose” e farle bene e in fretta. Altro limite, più culturale che regolatorio, è quello della difficoltà della PA a confrontarsi con il mercato. Un Governo che si confronta, parla, riceve, ascolta grandi attori di mercato che fanno innovazione in un Paese, oggi viene percepito come “di parte” e il contatto come inopportuno, mentre questa apertura è assolutamente necessaria. Diverse sarebbero le imprese desiderose di condividere esperienze e punti di vista con le PA. Si parla molto di open innovation, che poi, nella realtà dei fatti, non si fa”.
Quali i driver emergenti ai quali guardare con più attenzione per il cambiamento della PA?
“Direi sicuramente Cloud Computing, Artificial Intelligence, Machine Learning e Cybersecurity. Il primo, maturo e diffuso, nelle sue diverse modalità di implementazione tra pubblico, privato e ibrido, ha cambiato la tipologia di approccio ai servizi e per questo ha fatto innovazione vera, di pensiero. Cybersecurity, trasversale a tutti i settori, riveste grande importanza perché rappresenta una garanzia e crea un solido trust con i cittadini. Gli altri temi sono fondamentali per dare valore all’immenso patrimonio informativo in possesso della PA.
Altri driver tecnologici, penso ad esempio al Blockchain, sono molto citati ma ancora nella fase di moda, in cui si discute molto ma si applica poco”.
Se dovesse selezionare 3 progetti tra quelli che ha seguito e che mostrano come è possibile innovare in PA, quali citerebbe?
“Partendo dal presupposto che l’innovazione non è fine a se stessa, ma ha senso solo quando risolve i problemi della gente, direi sicuramente il progetto di RETE per la Procreazione Medicalmente Assistita della Regione Toscana, grazie al quale le persone possono fruire di servizi di qualità senza doversi spostare dai luoghi in cui vivono.
Oltre alla Sanità, come esempio di digitalizzazione interessante della PA Centrale direi INPS e INAIL che seguiamo dal 2015 con un progetto che consente lo scambio di dati di programmi previdenziali in tutta Europa. Ultimo, non meno importante se parliamo di Enti locali, un progetto per la Regione Sardegna che, dematerializzando i procedimenti amministrativi digitalizzandoli, ha smontato la complessità dei procedimenti burocratici per lasciare al cittadino la semplicità di connettersi per sapere l’esito di una pratica”.
Se dovesse convincere una PA a sfruttare al meglio il digitale cosa direbbe?
“Direi: non innamoratevi della tecnologia. Cercate sempre di comprendere il problema che può risolvere e, una volta individuata l’opportunità, investiteci e realizzate in concreto servizi nuovi. Solo cosi l’innovazione tecnologica trova la sua vera ragione di esistere”.