Secondo una recente ricerca McKinsey sull’Internet of Things (IoT) del giugno dello scorso anno, attualmente solo l’1% dei dati è realmente utilizzato dal mercato, malgrado il web abbia decisamente rimosso le barriere prima esistenti tra produttori e clienti-utenti aumentando la complessità delle fonti e canali diversificati in merito all’approvvigionamento dei dati stessi.
Si registra inoltre un esponenziale interesse verso le opportunità derivanti da una migliore comprensione dell’utilizzo dei dati stessi quando questi vengono sincronizzati con il comportamento online e offline degli utenti. È indubbio che l’interesse verso questa dualità e verso il cambiamento nell’analisi del dato è riferibile ad un nuovo comportamento da parte dei consumatori, che si aspettano un più stretto, rilevante, tempestivo e contestuale engagement con i brand su tutti i vari canali e in tutte le fasi dell’intero del ciclo di acquisto. Alcuni esempi di recente tecnologia muovono in questa direzione: i sensori con Bluetooth Low Energy (BLE) dei iBeacon di Apple, l’identificazione a radiofrequenza (RFID) per la gestione delle scorte e le analisi video in tempo reale dei movimenti dei consumatori per scoprire le zone “più trafficate” e il flusso. Questi sono solo alcuni dei modi in cui si sta impiegando la tecnologia per raggiungere in maniera ottimale il consumatore.
Ma quanto sono pronte le aziende per affrontare questa complessità?
Secondo Romain Picard, Senior Director SEMEA – Fr & N. Africa, Iberia, Italie, Greece, Turkey & Middle East per Cloudera,
“Le aziende non sono affatto pronte per affrontare la velocità del cambiamento di questa complessità, esse non sono capaci di trasformare i Big Data (questa enorme mole di dati) in informazioni utili o in valore economico spendibile sul mercato“.
Entro il 2020 avremo oltre 30 miliardi di dispositivi connessi o cose connesse (IoT) con un peso economico sul mercato reale di oltre 1,7 mila miliardi di dollari (ad esempio solo per il settore dei veicoli connessi si stima una crescita annua di oltre il 20%). La maturità dell’Internet of Things (IoT), rappresentata dalla tecnologia come Amazon Dash e il suo servizio Replenishment, promette di colmare il divario tra il fisico e il digitale e di estendere notevolmente il “Perimetro di dati” del retailer. La nascita di sistemi di pagamento alternativi, come Apple Pay e Paypal, così come i nuovi canali di acquisto quali il tasto di “Buy” di Twitter e i negozi virtuali di Tesco, creano percorsi aggiuntivi per l’engagement con il consumatore. Entro quattro anni avremo a che fare con oltre 44 ZettaByte (44 mila miliardi di gigabite di cui oltre l’80% dei dati sarà destrutturato).
“L’IoT è indubbiamente un driver per l’innovazione e per il mercato dei prossimi anni – prosegue Picard – ma abbiamo necessità di analizzare e comprenderne pienamente il processo di immagazzinamento e gestione di questa complessità e varietà di dati. In questo senso le aziende sanno cosa sono i Big Data ma non ne comprendono il valore ultimo e spesso non hanno le competenze per poterli sfruttare appieno“.
È necessario quindi riflettere non solo e non tanto in relazione al dato finale ma in maniera sistemica su tutto l’ecosistema IoT.
Infatti va sottolineato che il valore di un dato si moltiplica di un buon 40% quando correlato e combinato con altri dati. Il risultato è una proliferazione di fonti dati e di sistemi che il rivenditore deve collegare per ottenere le informazioni corrispondenti alle aspettative del consumatore.
Per sfruttare appieno questa mole di dati, la loro grande varietà e le diverse fonti, sono necessarie architetture di gestione dei Big Data che siano flessibili, scalabili, sicure ed efficienti: da qui la necessità di hub di dati aziendali (EDH) per sfruttare l’opportunità di questa rivoluzione nel settore incorporando queste nuove fonti di informazione, di sistemi e diversi canali, riuscendo a rafforzare il coinvolgimento del cliente, ottimizzare l’offerta e migliorare le previsioni e il merchandising.
E infatti tra le keywords da tenere in debito conto nello sviluppo della prossima generazione di IoT saranno indubbiamente la combinazione e l’analisi delle diverse tipologie di dati provenienti da fonti multiple fondamentali per sfruttare al meglio un sistema così integrato e complesso. Ciò anche in considerazione del fatto che secondo le stime McKinsey
una gestione ottimale congiunta di Big data e IoT potrebbe portare a ricavi per il mercato pari a 3,7 mila miliardi di dollari entro il 2025.
Del resto quando pensiamo ai Big Data dobbiamo immaginare un ecosistema basato su più elementi che per funzionare necessita di applicazioni; lo sviluppo di queste applicazioni risponde alle necessità dei vendor di inserirsi sul mercato, cercando di soddisfare le richieste, le preferenze e l’utilizzo degli utenti finali. A livello strategico Picard ci racconta infatti che Cloudera ha optato per un sistema perfettamente integrato in termini di business e servizi non solo per le grandi organizzazioni ma anche per le aziende più piccole e per i singoli utenti (consumatori).
“In questo contesto le infrastrutture risultano fondamentali per l’implementazione e il sostegno di un tale ecosistema integrato proprio in risposta alla gestione di una tale complessità. Pensiamo ad esempio all’utilizzo del cloud che deve raggiungere il compromesso tra le necessità del mercato e dei vendor di archiviazione dati e le richieste dell’utenza di sicurezza, privacy e protezione dei dati stessi“.
Il loro Hub Enterprise è un luogo unico in cui le aziende possono memorizzare, elaborare e analizzare tutti i loro dati, estendendo il valore degli investimenti esistenti e consentendo la valorizzazione di nuovi modi per ricavare valore e impatti economici dai propri dati. Cloudera sta dunque cercando di innovare rivoluzionando la gestione dei dati aziendali, attraverso la prima piattaforma unificata per Big Data.
Emma Pietrafesa