Un adagio latino che ancora si sente talvolta citare è “verba volant, scripta manent”, che solitamente si usa per evidenziare come sia molto più facile dimenticare, o contraffare, un messaggio orale piuttosto che un messaggio scritto. L’origine della locuzione latina era invece un prudente e pragmatico invito a non scrivere tutto quel che può venire in mente, o almeno a non scrivere nulla di compromettente, un invito che purtroppo oggi non è molto ascoltato: uno degli insegnamenti che ho appreso nell’ambiente lavorativo è il suo equivalente moderno: “Quando scrivi una mail pensa sempre che potrebbe essere rigirata a chiunque”. Chi di noi non fa ricorso alle vie brevi quando è necessario scambiare informazioni riservate o semplicemente imbarazzanti? In epoche passate, il fatto che la parola parlata voli mentre quella scritta persista è stato anche interpretato come un invito a liberare le parole dai volumi custoditi in biblioteche e altri austeri depositi per farle circolare. In questo senso il proverbio è stato rigirato da austera prescrizione prudenziale ad anarchico invito alla diffusione di idee e testi.
Oggi l’interpretazione di questo proverbio (per giusto o sbagliato che sia è l’uso che se ne fa che determina il sentire comune delle locuzioni) è che scrivere serve a tenere traccia delle cose, mentre le parole dette possono più facilmente essere dimenticate, anche deliberatamente, ed è molto più difficile dimostrare che siano state effettivamente pronunciate. Un testo scritto è invece un oggetto tangibile, che può essere esibito e ispezionato (la digitalizzazione di questa affermazione apre un mondo che esploreremo un’altra volta).
Queste riflessioni un po’ banali, ma anche altre più interessanti che possono originarsi da esse, sono soltanto in apparenza una fantasticheria umanistica e filosofica: sono invece molto interessanti quando le riportiamo alla forma contemporanea di memorizzazione e diffusione dell’informazione.
I dati volano o restano?
Oggi non sono solo le parole a volare o permanere, ma sono più in generale i dati, che possono essere testi, numeri, immagini, suoni e tutto ciò che è possibile replicare e memorizzare digitalmente, sicché il proverbio potrebbe benissimo essere parafrasato in “data volant, data manent“.
“Data volant” in quanto la maggior parte dei dati, in modo consapevole o meno, è oggi pubblicata da qualche parte, su un blog, su un profilo Facebook, su un account Twitter, in un database non cifrato, negli archivi di un hacker che li ha sottratti a una banca per poi pubblicarli su qualche sito, nelle registrazioni telefoniche che appaiono sui giornali, etc. “Data manent” in quanto si ha l’impressione che, una volta memorizzato, un dato non sia più estinguibile: i dubbi e le difficoltà nel diritto all’oblio sono un esempio di questo fenomeno. Ma è poi proprio così?
Simplicity is the ultimate sophistication
Per chiarire le idee porterò un semplice esempio: prendiamo la frase, molto spesso citata, attribuita a Leonardo da Vinci “la semplicità è il massimo della raffinatezza”. Molti l’avranno sentita o letta nella versione inglese, indubbiamente più eufonica: “simplicity is the ultimate sophistication”. Chi si interessa di marketing e/o di informatica la conosce bene in quanto fu un motto pubblicitario della Apple di Steve Jobs già nel 1977.
Ora, è abbastanza difficile che questa frase si sia trasmessa per tradizione orale, volando di bocca in bocca da Leonardo ai giorni nostri. Verosimilmente si trova scritta in uno dei numerosi codici di Leonardo, quel Codice Leicester che è in possesso di Bill Gates, a testimonianza di quanto la figura del grande ingegno toscano affascini chi si occupa di computer.
Una verifica che ormai molti farebbero è cercare su Internet “Simplicity is the ultimate sophistication”: questo è il risultato di Google (che ormai privilegia le immagini ai testi).
Se, come il sottoscritto non volete stare al monopolio di Google, cercherete su altri motori alternativi, come per esempio Duckduckgo che è quello che uso abitualmente io, troverete:
Di nuovo Leonardo da Vinci al primo posto! Un utente poco smaliziato ci metterà poco a copiarla, o anche a copiaincollare una delle immagini precedenti, sul suo profilo Facebook, rilanciarla su WhatsApp, lanciarla su Twitter e usarla durante gli aperitivi per sfoggiare la sua conoscenza della cultura rinascimentale, magari aggiungendo un “verba volant” se qualcuno gli chiede come sa che è di Leonardo.
Già, come lo sappiamo? Se la frase è di Leonardo, come si è detto deve figurare in qualche suo codice, o magari in qualche sua biografia o citata da qualcuno che lo ha conosciuto, etc. Il fatto è che questa frase che vola sul Web sembra non aver mai spiccato il volo! Si sa che c’è ma non da dove viene, un fatto molto comune per gli aforismi, le barzellette (già, chi le inventa?) e le fake news.
Il secondo link riportato da Duckduckgo ci fornisce una interessante risposta: rimanda infatti al sito Quote Investigator, che analizza le citazioni per trovarne fonti, attribuzioni, citazioni precise, etc. Non sottraggo al lettore il piacere di leggere la risposta e mi limito a sintetizzarne la conclusione: questa frase non compare da nessuna parte prima del 1931. Appare infatti nel romanzo di Clare Boothe Luce, giornalista e diplomatica statunitense che fu anche ambasciatrice in Italia, intitolato Stuffed Shirts (che potremmo tradurre “Vecchi parrucconi”): “The height of sophistication is simplicity” (“La vetta della raffinatezza è la semplicità”).
Quindi la frase non c’entra niente con Leonardo! Ma, più interessante per noi, è scritta in un libro degli anni ’30, non un capolavoro memorabile di un grande scrittore, ma un libro che sta nelle biblioteche e che a suo tempo fu commercializzato.
Cosa impariamo da questa breve ricerca?
Intanto che sicuramente “verba manent“, in quanto la frase di Clare Boothe Luce, che potrebbe anche avere una fonte precedente o essere una sorta di adagio diffuso all’epoca, è effettivamente rimasta ed è giunta fino a noi.
Peccato che in quanto informazione essa sia stata completamente contraffatta: infatti viene falsamente attribuita a Leonardo tanto che non sarebbe strano, in una conversazione, sentire qualcuno che la cita per tale. Ma allora quando i dati volano mutano? Esattamente come le parole che passano di bocca in bocca, cambiando di poco a ogni passaggio ma completamente stravolte quando sono giunte a destinazione?
Qui la questione è più sottile: infatti nell’informazione “la frase simplicity is the ultimate sophistication è di Leonardo” abbiamo un dato, la frase stessa, e un metadato, la sua attribuzione. Il dato normalmente non cambia, non fosse altro per la pigrizia dei moderni amanuensi cibernetici, che copiaincollano più che ricopiare. Ma il metadato, che è tuttavia parte integrante dell’informazione, è cambiato, e con esso l’intera informazione costruita intorno al dato.
I dati persistono ma mutano al tempo stesso
I dati restano e per di più sono manipolabili in modo da rendere difficile risalire alla loro fonte e al primo che li ha effettivamente manipolati: “metadata volant, data manent”.
Per completezza aggiungerò che il primo legame fra la frase “Simplicity is the ultimate sophistication” e Leonardo risale al 2000, quando la Campari pagò una pubblicità su The New Yorker, prestigioso e colto periodico statunitense, dove per legare la bontà del suo prodotto al Made in Italy non trovò di meglio che citare la frase in questione attribuendola a Leonardo da Vinci. Che uno dei maggiori periodici di cultura in lingua inglese sia involontariamente responsabile della diffusione di una fake quote, oltre a essere molto ironico renderebbe vano qualsiasi intervento di un nuovo Lorenzo Valla, del quale oggi sentiamo molto la mancanza.
Paolo Caressa