L’Italia ha registrato nel corso del 2015 alcuni progressi in relazione alla apertura dei dati malgrado si collochi solo al 17° posto all’interno dell’Open Data Index, ma rispetto al 25° posto raggiunto nel 2014 è indicativamente un progresso. Dalla indagine realizzata da Open Knowledge – l’organizzazione internazionale non profit che dal 2004 opera per la condivisione della conoscenza, con l’obiettivo di dimostrare come l’uso e il riuso possano favorire intuizioni e innovazioni in grado di produrre grandi cambiamenti – è possibile rilevare l’apertura di diversi dataset pubblici nazionali; l’Istituto nazionale di Statistica (Istat) in questo caso ne è un esempio, avendo raggiunto la prima posizione della classifica. Tuttavia ancora molto deve essere fatto in merito alle spese del governo e ai dati ambientali. L’apertura dei dati è una grande opportunità per il settore sia pubblico che privato e soprattutto permette di raggiungere benefici e risultati economici anche molto rilevanti. In questo senso l’esempio dei quanto messo in atto dal governo britannico potrebbe essere utilizzato come buona pratica nel nostro Paese per migliorare il processo in atto.
Proprio in merito alle possibilità e al valore degli open data abbiamo intervistato Rufus Pollock, Fondatore e Presidente di Open Knowledge e consulente sugli open data per diversi governi.
Quali i benefici dell’apertura dei dati?
“I benefici non sono collegati ad un singolo settore specifico o area di flusso, ma sono caratterizzati da una vasta gamma di miglioramenti ad ampio spettro per l’intera società.
La mia ricerca presso l’Università di Cambridge ha dimostrato quanto potrebbero essere importanti i vantaggi economici dovuti all’apertura dei dataset principali del governo britannico: i guadagni sono stati stimati pari a 6 miliardi di sterline l’anno.
In primo luogo vi sono i possibili ritorni economici derivanti dallo sviluppo di nuovi prodotti e servizi informativi realizzati espressamente per il settore dei dati pubblici; in secondo luogo vi sono guadagni derivanti dallo sviluppo di prodotti e servizi, quali strumenti software e complementari oltre che consulenza. Inoltre si possono avere i cosiddetti benefici indiretti, come la riduzione dei costi per gli utenti attraverso il riuso di quei dati “aperti” e di quelle informazioni. Infine va considerato il potenziale incremento dell’efficienza nel settore pubblico ed accesso a una migliore più efficace e tempestiva informazione.“
Quali i fattori chiave da considerare nella gestione di open data del settore pubblico?
“Ci sono alcuni elementi importanti da mettere al centro di qualsiasi analisi di gestione e fornitura delle informazioni e dei dati del settore pubblico: la natura non-rivalrous delle informazioni, la struttura dei costi associati (elevati costi fissi, costi marginali molto bassi), l’alto potenziale d’uso e riutilizzo e, infine, la doppia natura della pubblica amministrazione, che al tempo stesso detiene e conserva le informazioni.“
Quali le opportunità di business?
“In generale per le imprese che si occupano di dati o software di dati aziendali la maggiore opportunità è rappresentata dal libero accesso ad una serie di dati essenziali che possono essere utilizzati per migliorare o sviluppare nuove offerte e servizi.
Per le aziende non del settore “data” esistono, invece, altri tipi di opportunità: ad esempio, i dati “aperti” relativi ai contratti e commesse pubbliche consentono di analizzare e presentare offerte per bandi di gara emessi dagli enti e dalle amministrazioni pubbliche.“
Cosa perderà l’Italia se non comprenderà il valore dei dati aperti?
“Sicuramente quantità e qualità degli scambi economici di settore. Molti più dati devono essere “aperti” e non solo in relazione al settore pubblico. Un esempio per il settore privato potrebbero essere i dati sulle sperimentazioni cliniche dei medicinali, che dovrebbero essere “aperti” (ovviamente sempre in relazione a dati non sensibili) e che potrebbero agevolare moltissimo il mercato della produzione dei farmaci.
Il progetto Opentrials può esserne un ottimo esempio: è un database collaborativo e aperto con dati disponibili strutturati e documenti sugli studi clinici.
Se si vuole essere più ambiziosi, si potrebbero aprire per esempio le grandi quantità di dati prodotte da IoT sulla qualità dell’aria, sulle attività del traffico legate alla mobilità, ecc. Naturalmente alcuni di questi dati sono sensibili e personali quindi non dovrebbe esserne consentita la pubblicazione senza il permesso degli interessati ma si potrebbe chiedere ad esempio con una consultazione pubblica il parere ai cittadini e ai consumatori.“
In riferimento al settore Open Data, su cosa è necessario investire?
“Qualità: molti dati attualmente pubblicati o rilasciati non hanno gli standard e la qualità adeguate per essere considerati dati “aperti”. In questo senso bisogna migliorare strumenti, promuovere iniziative di formazione e tenere in considerazione l’autorevolezza di quanti lavorano nel settore.
Occorre poi investire in competenze: i dati non sono utili, se non si sa come usarli. Sappiamo che c’è un gap di competenze intorno a dati e alla loro analisi, per questa ragione come Open Knowledge abbiamo istituito una scuola di dati.“