TECH | 16 Apr 2019

Open Data Barometer

Utilizzo limitato, pochi investimenti e impatti positivi ancora da misurare: il report della World Wide Web Foundation, che racconta la situazione degli Open Data in più di 30 Paesi.

Meno di 1 dataset su 5 è pubblicato in formato apertoOpen Data visti come progetti e azioni isolati dai Governi, senza strategia di medio e lungo periodo. Paesi come Regno Unito e USA, leader mondiali di riferimento per l’apertura dei dati, che vedono il proprio punteggio diminuire negli ultimi cinque anni.

Se è vero che l’Open Data Barometer misura lo stato di salute degli Open Data nel mondo, dalla sintesi contenuta nel rapporto si può pensare che il malato non sia proprio un malato immaginario.

Curato dalla World Wide Web Foundation, il report che coinvolge 30 Paesi, compresi tutti quelli del G20, racconta ogni anno la situazione riferita alla pubblicazione di dati in formato open. Il rapporto 2018, che come per le altre edizioni, considera lo stato di maturità delle iniziative e la loro realizzazione in termini di tipo, numero, qualità di dati rilasciati, analizza l’impatto su 3 assi: sociale, economico e politico, andando anche a stilare una classifica e dando la possibilità di comparare on line i diversi Paesi presi in esame.

Cosa è cambiato negli ultimi 5 anni?

Il quinto rapporto su Open Data fa un primo bilancio quinquennale della situazione analizzata, mettendo in evidenza il fatto che le politiche di apertura di dati sono migliorate ma hanno portato a risultati modesti, con un progresso pressoché nullo rispetto al numero di dataset davvero disponibili nel mondo: sono infatti meno del 10% del totale e sono spesso riferiti a dati di scarsa utilità, qualitativamente poco curati e incompleti.

Le risorse destinate ai progetti Open Data si sono rivelate l’anello debole della catena, visto che i Governi tendono all’open-washing, termine coniato da “green-washing” e che fa pensare agli Open Data come a una etichetta di qualità, l’analogo del bollino “ecologico” o “verde” che si affaccia in tutti gli scaffali del supermercato. Un bollino a cui però non corrispondono progetti davvero utili per i cittadini.

Limiti si registrano anche nella legislazione debole, che impedisce la crescita dell’Open Data, e nella scarsa evidenza data all’impatto che l’apertura dei dati può avere sul piano sociale ed economico. “Pochi programmi sono stati adeguatamente valutati e la maggior parte della discussione intorno agli open data si basa su aneddoti piuttosto che su studi empirici”, si legge nel rapporto.

La situazione nel 2018

L’anno passato, nonostante le diverse criticità evidenziate, ha mostrato un deciso miglioramento per i Paesi catalogati come leader, che in alcuni casi hanno compiuto progressi a due cifre in cinque anni, con un aumento dei loro punteggi di oltre il 50%. A fronte di questo, però, è sottolineato in diverse parti del report la necessità per i Governi di un impegno concreto che vada al di là di facili promesse. “I Governi devono dare priorità a investimenti importanti utili alla governance dei dati aperti”, si legge nel report, e devono garantire una strategia unitaria che scongiuri il rischio di aprire dati solo di una parte della PA, con progetti isolati spesso inutili.

L’Italia si posiziona tra i Paesi “di mezzo”, non leader ma nemmeno Paese in ritardo. Se si guarda al trend storico degli ultimi cinque anni, si nota come la linea evidenzi un lieve miglioramento che di anno in anno ha contraddistinto il nostro Paese.

Le raccomandazioni per i Governi

Il report riporta una serie di raccomandazioni per i Governi, che si possono sintetizzare nell’open by default, principio che deve essere applicato tramite piani chiari, linee guida e procedure di apertura dei dati, nella costruzione e nel consolidamento di una infrastruttura open data in grado di migliorare la qualità dei dati e l’interoperabilità attraverso specifici sistemi di gestione e, ultima ma non meno importante, l’individuazione di uno scopo preciso perseguito attraverso la pubblicazione di Open Data.

Perché Open Data?

Nel rapporto diverse sono le best practice portate come esempio di impatto positivo sulle vite dei cittadini. “Ci sono chiari vantaggi sociali ed economici per i Governi che si impegnano ad aprire i dati. L’impatto analizzato in questo momento storico rappresenta solo una parte dell’impatto possibile avendo dati aperti e persone in grado di usarli nel migliore dei modi”. L’esortazione che arriva dal rapporto è dunque continuare ad aprire dati e soprattutto misurare gli impatti dell’apertura per migliorare il processo di pubblicazione.