All’epoca alla quale ci riferiamo il tema degli Open Data apparteneva ancora alla fantascienza, al più si parlava, come evocando realtà esoteriche, di “banche dati”. Si era agli inizi degli anni ’80; nel quinquennio precedente vi erano stati nel nostro Paese massicci investimenti in tecnologie che da “informatiche” sarebbero di lì a qualche anno diventate “dell’informazione” per modernizzare l’azione delle Pubbliche Amministrazioni. Al centro veniva informatizzata la Ragioneria generale dello Stato e nasceva l’Anagrafe tributaria; in periferia, si cominciava a parlare di sistemi informativi integrati a livello di singoli Comuni, mentre al Nord Est, in Friuli Venezia Giulia, veniva finanziata da risorse regionali la prima esperienza di sistemi informativi comunali integrabili su base regionale.
Dominava la scena il gruppo FINSIEL, possente holding dell’informatica pubblica, che con le sue articolazioni colonizzava, l’una dopo l’altra, le PA centrali. Tuttavia la novità più significativa in tema di “apertura” del mondo dei dati pubblici fu prodotta da CERVED, una in-house delle Camere di Commercio. Cerved SpA (oggi INFOCAMERE: quella che ora si chiama Cerved Group è erede di uno spin-off messosi al servizio delle banche a partire dall’originale Cerved camerale) agli inizi degli anni ’80 stava completando il suo progetto di informatizzazione del Registro delle Ditte.
C’erano allora due registri e due distinte entità istituzionali ad occuparsi della stessa realtà, vale a dire del mondo delle imprese (come ancor oggi accade per l’anagrafe delle auto e dei loro proprietari con il PRA e la Motorizzazione civile): il “Registro delle Ditte” e il “Registro delle Imprese”.
Il primo, meramente anagrafico (vale a dire senza bilanci), era gestito dalle Camere di Commercio (CCIAA) sotto la vigilanza del Ministero dell’Industria; il secondo, il Registro delle Imprese, oltre alle anagrafiche delle singole imprese era anche depositario dei bilanci che le imprese erano tenute a presentare annualmente. Dipendeva dal Ministero di Giustizia che ne assicurava la gestione attraverso le cancellerie dei tribunali civili.
Grazie a CERVED il Registro delle Ditte (nome significativamente riduttivo rispetto al più solenne “Registro delle Imprese”) fu in breve tempo informatizzato e integrato in rete e, senza che alcuna riforma intervenisse, il Registro camerale da locale/provinciale divenne nazionale: da Ragusa si poteva interrogare il Registro delle Ditte di Milano; e viceversa. Tuttavia, per quanto aggiornato, poteva solo parzialmente informare sull’esistenza o meno di una “Ditta”, ma non fornirne i bilanci. Il Registro delle Imprese, vetusto nei mezzi, nell’assetto organizzativo, nel personale addetto e nelle tecnologie utilizzate, disponeva del privilegio di poter certificare, e per di più con certificati redatti manualmente, solo su base provinciale e, quando si riusciva a recuperarli nelle polverose cancellerie, di fornire copie conformi dei bilanci.
Il sistema economico-produttivo e quello finanziario (il mondo bancario in particolare) non potevano sopportare un dualismo tanto inefficiente quanto dannoso per tutti, e fu così che, qualche anno dopo il completamento dell’informatizzazione del registro delle Ditte delle Camere di Commercio, un’apposita norma stabilì che il Registro camerale sarebbe diventato, a tutti gli effetti, Registro delle Imprese; che i bilanci, dunque, sarebbero stati presentati solo ed esclusivamente alle CCIAA e che queste avrebbero sostituito in toto, con buona pace di tutti, le cancellerie dei tribunali civili e i loro cancellieri.
Intanto le CCIAA, ancor prima che venisse sancito il cambiamento di status del Registro da esse gestito, cominciarono a commercializzare – sempre attraverso la loro società CERVED SpA – dati e informazioni sulle imprese. Fu un’esplosione di fatturato, di crescita, di affermazione di nuovi mercati e nuovi business. Per di più ad opera di soggetti, le Camere di Commercio, pur sempre appartenenti al sistema pubblico.
Si apriva un mercato disposto a impegnare risorse rilevanti pur di avere informazioni aggiornate, complete, integrabili tra loro sulla realtà delle imprese italiane: la valorizzazione dei dati camerali (a tutti gli effetti dati pubblici) prese una deriva orientata al business così decisa che ancor oggi nessuno si azzarda a rivendicare con convinzione lo statuto di “OPEN DATA” per le informazioni trattate dalle Camere di Commercio.
Tuttavia gli informatici dell’epoca che, a quel tempo, cominciarono a pensare non più in termini di tecnologie da adottare ma di contenuti da valorizzare, erano desolatamente pochi: il mercato dell’informazione rimaneva ancillare, subalterno rispetto a quello dell’informatica, che era in buona sostanza hardware (per qualche anno ancora prevalente) e software; si prendeva in esame il potenziale informativo di un servizio solo se capace di determinare cospicui investimenti in tecnologia.
La scoperta delle potenzialità di crescita del mercato dei dati e delle informazioni dalla creazione di banche dati a partire dai giacimenti informativi delle Pubbliche Amministrazioni si affermò in CERVED in modo non indolore, dando vita a due correnti di pensiero divergenti e in qualche modo in competizione: la prima puntava, per il futuro della società, alla scoperta e alla valorizzazione di altri giacimenti informativi pubblici e non faceva più, dunque, affidamento sul consolidamento della sua vocazione informatica in senso stretto; la seconda, invece, riteneva pericoloso occuparsi troppo da vicino dei dati pubblici, sui quali sarebbe stato oltretutto difficile porre vincoli di sfruttamento commerciale definitivi e, dunque, vedeva il futuro della società nel capitalizzare il know how in termini di controllo e applicazioni delle tecnologie appreso nel realizzare il progetto camerale e nel ricollocarlo, con adeguate iniziative imprenditoriali, sul mercato pubblico e privato.
Fu così che, nell’alveo di CERVED nacque CERVED Engineering (poi Engineering Ingegneria Informatica SpA), inizialmente partecipata da Cerved ma destinata ad autonomizzarsi totalmente e a diventare una multinazionale nel campo dell’integrazione di sistemi. A seguito di uno split successivo al passaggio del Registro delle Imprese alle CCIAA, ci fu uno split dalla originaria CERVED che, conservando il nome della casa madre, si avviò a privatizzarsi per occuparsi di banche dati per il sistema bancario. Quella che era CERVED, dopo il riconoscimento del suo profilo definitivamente istituzionale in quanto titolare della gestione del Registro delle Imprese, cambiò nome in INFOCAMERE.
Ma non era finita. Sempre nell’alveo CERVED, nel 1984, nacque l’idea di esplorare cosa si sarebbe potuto fare per i Comuni (e con i Comuni) ispirandosi a quanto era stato fatto da CERVED con (e per) le Camere di Commercio. Fu così che, dopo studi vari e tessiture di rapporti strategici per la realizzazione del progetto, nel 1987 nacque Ancitel SpA, un’esperienza minore rispetto alle consorelle quanto a rilevanza sul mercato, ma importante se si considerano alcuni percorsi di valorizzazione dei giacimenti informativi comunali.
La missione di Ancitel apparve, all’inizio (e anche dopo) un po’ ostica da capire per i più, che avrebbero preferito avere a che fare con una società di informatica dell’ANCI specializzata nel produrre software per i Comuni. Il fatto che si dicesse loro che la missione di Ancitel non era quella di produrre software – che era e avrebbe dovuto rimanere di competenza degli operatori di mercato – ma quella di valorizzare la “produzione informativa” dei Comuni e delle altre fonti informative pubbliche innanzitutto a beneficio degli stessi Comuni, li lasciava freddi, interdetti ed anche convinti che li si stesse prendendo in giro.
Queste perplessità non di rado erano condivise anche da quanti avevano sostenuto la costituzione di Ancitel. Bastò a tranquillizzarli la realizzazione del collegamento della banca dati del PRA alla rete videotel di servizi on-line gestita da Ancitel per dare l’accesso al Registro Automobilistico a prezzi finalmente accessibili a tutti i Comuni.
Fu poi la volta delle Anagrafi della popolazione: l’idea di fare di 8.100 anagrafi sparse e scollegate tra di loro un sistema informativo integrato a livello nazionale nacque nel 1992. Si cominciò subito a lavorare alla sua realizzazione e a poco a poco prese forma: i Comuni aderivano liberamente e liberamente conferivano i loro dati.
Quella realizzazione, il cui nome era INA-SAIA, di cui ANCI e Ministero dell’Interno dichiararono di volersi accorgere solo all’inizio del 2000 (quando già collegava in rete oltre 5.000 Comuni e l’80% della popolazione del Paese), è stata messa recentemente in liquidazione per dar vita all’Anagrafe Nazionale della Popolazione – un nuovo progetto che molti fanno fatica a capire in cosa si distingua da INA-SAIA – affidata dal Ministero dell’Interno a SOGEI.
Fu infine la volta del Catasto: Ancitel, sul finire del secolo scorso, provò a proporne una gestione con i Comuni, che fosse premiante per l’impegno di questi e utile per avere un Catasto aggiornato e pulito. L’iniziativa fu percepita come un tentativo dei Comuni di mettere le mani su un affare che non era roba loro, e da allora si continua a parlare di riforma del Catasto, per arrivare, con il Governo Monti, a collocare tra le funzioni fondamentali dei Comuni una non meglio precisata funzione “Catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente”.
Nicola Melideo