29 anni, laureato da due in ingegneria informatica a Ferrara, Giuseppe Cancelliere si definisce un misto tra un programmatore di sistemi, che cura l’aspetto architetturale, e un analista di dati. “Sicuramente – spiega – il mio lavoro è quello di fare tutti i passaggi tecnici necessari per leggere e analizzare correttamente Big Data”.
Arrivato fresco di laurea in Engineering con una valigia di passione per Intelligenza Artificiale e Analytics, ritiene che il suo obiettivo principale sia quello di “semplificare la vita a chi fa analisi dati. Mi occupo di aspetti tecnici, sono uno sviluppatore per sistemi distribuiti Apache Spark certificato, offro supporto ai colleghi che si occupano di analisi dati anche ottimizzando le risorse architetturali utili a fare meglio questa operazione”.
Come si svolge una giornata lavorativa tipo di un Big Data Engineer?
“Gran parte del tempo la impiego nello scrivere codice e monitorare le dashboard che mi consentono di capire se il lavoro che stiamo facendo sta andando nella direzione giusta oppure no. Importante è sicuramente il lavoro di squadra: non si lavora mai soli, si condivide molto con i colleghi, ci si confronta, si discute anche a distanza tra sedi differenti grazie alla videoconferenza. Una parte importante del lavoro è poi quella che faccio tornando a casa e andando a studiare le tante novità che contraddistinguono il settore di cui mi occupo. Ogni articolo, libro, scambio di informazioni su community specializzate è occasione di crescita professionale”.
Cosa c’è di difficile in questo lavoro?
“La cosa più complessa è mettere insieme diversi modi di vedere l’analisi dei dati: da una parte, infatti, ci sono gli analisti che hanno necessità di avere risultati in tempi rapidi, dall’altra ci sono gli amministratori che sono invece più concentrati sulla qualità di ciò che deve andare in produzione. Mettere insieme visioni di professionisti che hanno background completamente diversi non è sempre cosa semplice”.
Cosa c’è di bello nel fare il Big Data Engineer?
“Essendo io un appassionato di sviluppo di sistemi distribuiti fin dall’università, ho l’impressione di poter dare una risposta di parte. Premesso questo, il lavoro è davvero molto coinvolgente e interessante e soprattutto non è mai noioso e ripetitivo. Una figura come la mia lavora in modo trasversale su diversi progetti, non ne segue uno soltanto e in questo modo interviene “al bisogno” per poi lasciare il progetto in mano ad altri. A me questo piace perché mi consente di conoscere diverse attività e ambienti e di entrare in contatto con problematiche differenti”.
Qual è in azienda il rapporto tra donne e uomini che ricoprono ruoli tecnici come il tuo?
“Devo dire che, contrariamente a quello che si può pensare, il nostro gruppo di lavoro è davvero ben bilanciato tra uomini e donne. Ci sono diverse colleghe che si occupano sia di aspetti architetturali che di analisi dei dati. Il mio capo tecnico è una donna. Si lavora molto bene in gruppi misti”.
Quale formazione è necessaria per fare questo lavoro?
“Pur avendo fatto il liceo scientifico, ho cominciato a programmare solo una volta arrivato all’università: in quegli anni ho imparato tutto, poi la passione ha fatto il resto. Frequentare ingegneria informatica, con una specializzazione in automazione e sistemi distribuiti, mi ha sicuramente indirizzato nel modo giusto”.
Quali secondo te le caratteristiche che una persona dovrebbe avere per fare questo lavoro?
“Credo siano necessarie delle basi solide di programmazione, sia lato architetturale che ingegneristico. Se insieme a queste c’è anche una passione per problematiche legate all’analisi di grandi quantità di dati, allora viene tutto più facile. Dal punto di vista caratteriale, visto che questa è una figura di raccordo, è sicuramente necessario essere predisposti al confronto e al dialogo con altri”.
Ultimo libro letto?
“Neuromancer di William Gibson. Risale al 1997, ma dà una visione del futuro digitale e dell’umanità che sfida la nostra immaginazione”.