Tutti noi immettiamo in Rete una quantità enorme di dati, consapevolmente accedendo al Web o sui social e senza saperlo semplicemente vivendo la vita di tutti i giorni. 40 anni fa Bill Gates prometteva di portare un PC in ogni famiglia e 30 anni più tardi Steve Jobs rincarava promettendo invece di portare Internet in ogni tasca. Ci sono praticamente riusciti nei Paesi economicamente evoluti, apportando grandi migliorie in ogni aspetto della nostra esistenza, ma introducendo anche dei problemi collaterali.
Come si producono i dati?
La tecnologia consente alle persone e sempre di più alle “cose” di produrre dati con un trend che non sembra avere limiti. Anche l’ultimo prodotto lanciato da Amazon, Alexa, ha come obiettivo la facilitazione dell’interazione con il mondo digitale che ci circonda (il PC, il telefono, la domotica, la TV e tanti altri device connessi) attraverso pacchetti di dati bidirezionali.
La raccolta e la gestione dei dati sono il vero business del momento perché consentono di diminuire le possibilità di errore a chi deve prendere decisioni e di aumentare l’influenza di chi opera sui mercati. Chi possiede dati, ed è in grado di utilizzarli proficuamente, ha la possibilità di ridurre i propri costi e incrementare il valore medio dei clienti, creando un vero e proprio processo iterativo.
E la sicurezza dei dati?
Una questione centrale è che non tutti sono a conoscenza che i propri dati vengono utilizzati e comunque molti ignorano quali sono le modalità. Nonostante i ripetuti allarmi, le persone comuni non sono ancora consapevoli della reale importanza dei propri dati. Lo evidenzia uno studio effettuato da Kaspersky Lab secondo cui solo il 59% degli intervistati riconosce che le aziende potrebbero cercare di trarre dei profitti dalla vendita dei dati personali a terze parti, mentre il 50% di loro non è consapevole di quanto possano valere quegli stessi dati sia per le aziende, sia per i cybercriminali.
La nostra vita è ormai un mix di vita analogica (reale) e di vita digitale (virtuale), inviluppo di tanti processi di acquisizione di dati disomogenei. Comincia a essere complicato anche distinguere gli aspetti che appartengono a uno o all’altro ambito. Ciò che è percepito dai sistemi in ascolto e dalle persone è prevalentemente la risultante di quanto presente nei vari canali digitali, andando a creare un’immagine di insieme che non è completamente controllata dal diretto interessato. La tendenza è prestare molta più attenzione all’identità digitale rispetto a quella analogica, perché è quella maggiormente conosciuta. Di certo tante informazioni sul nostro conto vengono acquisite e diffuse in modo irreversibile. Il sito worldometers.info aggiorna addirittura in tempo reale le statistiche degli eventi che accadono in tutto il mondo (nascite, decessi, consumi e molto altro).
Nel corso degli anni lo sviluppo della tecnologia e dei sistemi non ha tenuto conto degli aspetti legati alla privacy creando una serie di falle che attualmente la giurisprudenza si sta affrettando a normare. La nostra identità, insieme ai dati che generiamo, crea i cosiddetti “data subject”, cioè, quell’insieme di informazioni che la UE ha scelto di difendere, per esempio tramite il diritto al consenso e al trattamento per l’utilizzo dei dati.
Come vengono utilizzati i dati?
Le decisioni basate sui fatti e sull’analisi consentono di definire con maggiore precisione la propria strategia e avere successo. Grazie ai dati, le organizzazioni di oggi possono essere più redditizie, ottenere prestazioni migliori, aumentare la quota di mercato e migliorare le operazioni.
In realtà, sono molti gli aspetti che caratterizzano i Big Data e si possono riassumere nelle cosiddette 7 V: volume, che esprime semplicemente la quantità; velocità, perché i dati devono essere accessibili in real-time; varietà e variabilità intese rispettivamente come le diverse tipologie di dati (spesso non strutturati) e il diverso significato che un dato può portare con sé a seconda dell’utilizzo che se ne fa; veridicità, che riguarda il livello di accuratezza del dato; visualizzazione, intesa come la capacità di fruirne tramite adeguate tecnologie e metodologie; infine la V più importante e cioè il valore, poiché è fondamentale che, una volta raccolti e analizzati, dai dati si possa ricavare il valore necessario per l’azienda o in generale per chi “consuma” il dato.
I dati sono solo uno dei molti fattori da tenere in considerazione per intraprendere un percorso di Digital Transformation coerente ed efficace. Sono sicuramente un ottimo punto di partenza per una trasformazione che in primis è del business, poiché un utilizzo consapevole dei dati porta con sé una serie di conseguenze correlate, tra cui un nuovo approccio al cliente, un cambiamento degli asset aziendali e nuovi modelli organizzativi che modificano in modo sostanziale il modello commerciale.
Qual è il valore dei dati?
Fino a oggi, quando si parlava di valore economico dei dati, ci si riferiva sempre ai dati statici delle persone, ovvero ai dati socio-demografici che le caratterizzano e che tendenzialmente restano invariati per tutta la vita o quanto meno per molti anni (nome, cognome, sesso, professione, ecc.).
Secondo i prezzi medi di mercato delle banche dati che tracciano i dati statici delle persone, i dati di un manager uomo valgono mediamente 1 euro, mentre quelli di una manager donna valgono mediamente 0,89 euro.
Considerando che mediamente una persona ha iniziato a immettere i propri dati on line circa 15 anni fa e che verosimilmente continuerà a rilasciare dati per almeno 30 anni, secondo le stime di InTribe ognuno di noi potenzialmente emette milioni di dati nell’arco della sua vita, per un valore di oltre 50.000 euro.
Di sicuro niente di quello che si ottiene dalla Rete è gratis e spesso la merce di scambio è proprio la concessione delle nostre informazioni. Il guadagno può essere generato dalle pubblicità, da meccanismi automatizzati di upselling, dall’incremento di fatturato e fidelizzazione ottenuti incontrando le esigenze dei consumatori o dalla riduzione dei costi grazie a processi ottimizzati tramite algoritmi predittivi.
Non a caso le 5 aziende che detengono ad oggi il maggior numero di dati sono i più grandi colossi mondiali: Google, Facebook, Apple, Amazon e Alibaba. Queste società ottengono i nostri dati promettendo che non saranno resi noti e utilizzabili all’esterno dei loro sistemi. Grazie anche a questo hanno oramai un valore commerciale superiore al PIL di uno Stato, non sono influenzabili attraverso alcuna contropartita economica, ma di fatto determinano le sorti del mondo.
È uno scenario inquietante: chi ha i dati aumenta il proprio potere e la capacità di indirizzare le abitudini delle persone. Sembrerebbe un trend irreversibile, anche se nella storia alla fine tutto è stato sempre superato. Come al solito, l’unico modo per cercare di arginare la deriva è aumentare la diffusione della conoscenza di queste tematiche al fine di indurre consapevolezza e di conseguenza diminuire la vulnerabilità di chi accede in Rete.
Gianluca Polegri