I Big Data, per gli utenti, sono come le polveri sottili: non se ne avverte la presenza se non nel momento in cui si notano gli effetti. Effetti che, nel caso della tecnologia Big Data, sono percepiti come positivi: grazie alla raccolta e all’analisi dei dati, infatti, è possibile la “profilazione” dell’utente, ovvero il “ritratto” dei suoi gusti e dei suoi interessi, finalizzato a costruire un’offerta “su misura” di possibili prodotti o servizi da acquistare.
La ricerca Retail Trasnformation, la percezione delle tecnologie da parte degli utenti nella Digital Transformation, realizzata da Digital Transformation Institute e CFMT in collaborazione con SWG e Assintel, mostra quanto sia considerato comodo dagli utenti, per esempio, visualizzare offerte personalizzate. Comodo almeno fino a quando non si fa comprendere che quest’attività è legata a doppio filo alla concessione (e analisi) dei dati utili a capire i gusti della persona che fruisce del servizio o vuole acquistare un prodotto. Gli intervistati hanno dimostrato di tenere più alla “tutela della privacy” che alla possibilità di avere sconti particolari, probabilmente perché, alla citazione della parola “privacy” si alzano le barriere di coloro che, spesso inconsapevolmente, cedono quotidianamente e gratuitamente i propri dati a grandi piattaforme, come quelle che gestiscono Social Network site o motori di ricerca, ma che si mostrano “gelosi” delle proprie informazioni nel momento in cui si fa riferimento al fatto che queste sono utilizzate per scopi di marketing.
Del resto, si è capito da tempo che il consenso alla raccolta dati al momento dell’iscrizione a un servizio, a un Social Network o al download di un’applicazione, non aiuta le persone a comprendere il senso della raccolta dati e a collegarla all’uso “gratuito” di un qualcosa che, nella realtà dei fatti, si paga.
A fronte di un certo “timore” delle persone rispetto alla raccolta dei dati, ancora poco evidenti sono le opportunità, viste le limitate applicazioni di questa tecnologia da parte delle imprese italiane. Se pensiamo
al settore retail, grazie ai Big Data si può fruire di promozioni in tempo reale e prezzi su misura utili a risparmiare, disporre di servizi e prodotti personalizzati e migliori, veder nascere prodotti o servizi in grado
di rispondere a nuove esigenze o a gusti personali intercettati e “ascoltati”. Vantaggi conosciuti più spesso per sentito dire che non per sperimentazione diretta.
Quando Big Data incontro IoT
Se alla tecnologia Big Data associamo IoT, gli impatti positivi sono destinati ad aumentare. Grazie a oggetti connessi, infatti, è possibile raccogliere dati che devono essere poi analizzati per orientare nel modo migliore le scelte degli utenti. Pensiamo alle Smart City e alla possibilità, per esempio, di guidare l’utente alla ricerca di un parcheggio grazie all’analisi in tempo reale dei sensori posti nei posti auto o di metterlo in guardia sul livello di sicurezza della zona in cui ha lasciato l’auto. Se ci riferiamo al settore commercio, possiamo pensare agli oggetti connessi, già disponibili in alcune realtà, in grado di rilevare gli acquisti di una persona in un negozio e orientarla, real time, verso la ricerca di altri prodotti da “abbinare” a quelli acquistati o meno costosi, magari perché in offerta. Città migliori e qualità della vita in aumento del 10-30% grazie al ricorso a tecnologie applicate ai contesti urbani, secondo quanto misurato da McKinsey lo scorso anno. Vite migliori, dove la comodità dell’essere guidati è vincolata necessariamente alla cessione di dati.
Imprese e Big Data
Se guardiamo alle imprese, pur essendo conosciuta sia la tecnologia Big Data che IoT, ancora limitate sono le reali applicazioni, destinate a essere oggetto di investimento da parte delle imprese nei prossimi tre anni. Diverse sono le difficoltà che ostacolano l’adozione di tecnologie Big Data: scarse risorse finanziarie e umane, ma soprattutto una complessità nel dover ridisegnare i processi aziendali, mettendo in atto una strategia complessiva di medio-lungo periodo. Cosa non banale soprattutto per il tessuto imprenditoriale italiano, costituito perlopiù da piccole e medie imprese con livelli di consapevolezza digitale a volte troppo limitata, che non si aprono nemmeno alla fruizione di servizi costruiti su Big Data e offerti da grandi player. È il caso, per fare un esempio, delle campagne pubblicitarie mirate e personalizzate da poter attivare sui Social Network, grazie alla raccolta e analisi dati fatta da altri, ma che produce potenzialmente effetti benefici anche alle realtà più piccole.
Le complessità non mancano neppure quando si parla di IoT e imprese, città e oggetti che diventano “smart”, ovvero in grado di produrre valore attraverso i dati. A soffrire più di altri, secondo la ricerca, proprio i settori Smart City e Smart Factory, ovvero quelli che potrebbero portare vantaggi tangibili ma che richiedono un cambiamento profondo nei processi di gestione. Un cambiamento in cui l’aspetto tecnologico è probabilmente il meno complesso da affrontare.
Scelte e vite guidate dai dati?
La nostra società, le nostre vite, le vite delle imprese saranno sempre più data-driven grazie al veloce e costante aumento sia della disponibilità di dati che di potenze di calcolo in grado di estrarne valore. Le decisioni sono e saranno basate sui dati e affidate a intelligenze artificiali e macchine che stanno crescendo e cresceranno a “pane e dati”. Per questo, una riflessione circa la complessità della trasformazione a cui saranno sottoposte persone e aziende è necessaria: i dati, infatti, non sono che una riduzione della realtà, non esattamente la sua copia. Una riduzione che potrebbe essere influenzata da stereotipi e pregiudizi, come per esempio quelli legati al genere, dai quali i dati non sono immuni e che potrebbero portare a prendere decisioni sbagliate, non inclusive, ingiuste. Ad affiancare Big Data e IoT nel fare scelte, dunque, dovrà essere quel bagaglio di valori etici che consentirà di porre i necessari correttivi. Questo è e sarà il contributo insostituibile dell’uomo.
Sonia Montegiove