TECH | 8 Giu 2017

Smart City: quando la cultura del dato agisce su 6 dimensioni

Visione, organizzazione, economia, società, tecnologia e comunicazione: dimensioni chiave nello sviluppo di un processo Smart City efficace.

L’ultima ricerca del Digital Transformation Institute (DTI) parla chiaro: per sviluppare progetti di Smart City efficace è necessario smettere di commettere gli stessi errori ed imparare a lavorare per anticipare i fattori di potenziale fallimento. Certo, analizzare le migliori pratiche di altre città rimane un esercizio utile, se non altro perché ci aiuta a comprendere i risultati raggiunti in altri contesti e gli obiettivi perseguibili, ma quanto le caratteristiche di questo contesto influenzano le modalità di realizzazione di un progetto? Come cambiano, realmente i coefficienti di rischio nell’evoluzione di una Smart City, a seconda di ciò che è quella città e i cittadini che la abitano?

I curatori della ricerca “Smart city, quali impatti sulle città del futuro?”, realizzata dal DTI in collaborazione con Cisco Italia, hanno lavorato con esperti provenienti da diversi campi, proprio allo scopo di definire i possibili elementi che potrebbero portare al fallimento di un progetto di città smart, ovvero quelle criticità che se identificate correttamente e in maniera condivisa consentono di anticipare gli errori ed elaborare risposte efficaci.

In questa prospettiva, emerge quanto l’uso intelligente degli Open Data possa supportare la città per pianificare e sviluppare nuovi servizi. La ricerca, infatti, ha identificato le sei dimensioni chiave che rappresentano elementi critici nello sviluppo di un processo Smart City efficace: la visione, l’organizzazione, l’economia, la società, la tecnologia e la comunicazione, per poi individuare un elenco di elementi che sono potenziali motivi di fallimento di un progetto Smart City. Offre anche alle città un agevole strumento di autodiagnosi, sotto forma di un questionario (in cantiere c’è la trasformazione in un’app), che permette di analizzare la propria situazione rispetto a ognuno di questi fattori di rischio, comprendendo a quali ambiti prestare maggiore attenzione.

Secondo l’Indagine, le Smart city del futuro prossimo saranno più intelligenti e senzienti perché in grado di attingere ai Big Data in tempo reale e, dunque, di reagire con tempestività. Saranno anche più aperte e capaci di condividere e più dialogiche e partecipative, perché in grado di interagire proattivamente con cittadini attivi, messi nelle condizioni di comprendere il valore dei dati e di leggere meglio, grazie ad essi, la realtà e il contesto in cui vivono. Una Smart city con una nuova vision, “interscalare”, poiché, grazie agli Open data, si agisce contemporaneamente sul micro e sul macro, producendo effetti al livello del quartiere e al livello metropolitano e migliorando ogni giorno la vita di ogni singolo cittadino.

La Smart City ideale, infatti, è quella che meglio si adatta alle qualità della sua struttura sociale e del suo territorio urbano. Ma la conoscenza di un territorio e di chi ci vive passa da un processo che raccogliere, organizzare, rendere pubblici, confrontabili e open tutti dati e le informazioni sul contesto urbano. E la qualità e il successo di chi governa una Smart city dovrebbero essere misurati anche con il grado di coinvolgimento che riesce a ottenere. Il processo di Digital Transformation delle città, quindi, richiede un deciso e forte cambio di paradigma rispetto al passato, ponendo il cittadino al centro e l’amministrazione al suo servizio, con particolare focus sulla semplicità e l’usabilità dei servizi. Non si tratta soltanto di pubblicare in modalità Open Data alcune informazioni, più o meno in base ai vincoli di legge, ma di adottare un nuovo paradigma che permetta di coinvolgere gli stakeholder del territorio (cittadini, imprese, ecc.) fin dalla fase di definizione delle scelte in logica partecipativa (engagement), anche considerando i recenti trend della sharing e circular economy. Questo nuovo paradigma potrà essere introdotto solo grazie alla realizzazione di nuove piattaforme relazionali che nel tempo integreranno i flussi applicativi delle relazioni di tutta l’amministrazione con i cittadini, aperte e nativamente predisposte per l’integrazione con i flussi applicativi di tutta la PA.

E la trasparenza? Una città che dà conto del proprio operato pratica l’accountability, rende disponibili i dati in maniera comprensibile per tutti, attivando un meccanismo di partecipazione attiva dei cittadini, che si trasformano in Smart Citizen, è PA in grado di operare in una dimensione organizzativa ed economica efficace, esercitando una leadership orizzontale, praticando una governance in continuità ideativa-elaborativa e operativa/realizzativa/gestionale, valorizzando l’interazione ed integrazione degli investimenti pubblici e privati, rendendo a comunità co-protagonista.

Senza dimenticare che l’efficacia, la scalabilità e il successo di una strategia Smart City dipendono inevitabilmente da tre elementi tecnologici principali. In primis, dalle infrastrutture di comunicazione di rete, sicure, in alta affidabilità, virtualizzabili e capillari, a servizio della città, degli spazi aperti, degli edifici pubblici e privati per l’accesso alle applicazioni, l’aggregazione e la correlazione dei dati, il monitoraggio ed il controllo remoto di sensori e attuatori. Poi dalle infrastrutture data center per l’hosting delle applicazioni server centrali e per la raccolta, memorizzazione e analisi dei dati. Infine, dalle piattaforme applicative, da suddividere tra componenti centrali di aggregazione, correlazione, comando e controllo e componenti specializzate associate a ogni specifico servizio o sottosistema. Per tutti gli elementi la prerogativa cruciale è l’interoperabilità, troppo spesso ancora solo teorica. L’interoperabilità deve essere ragionata in ottica di riuso in modo che i servizi creati possano essere interrogati e utilizzati da terzi. Rendere la tecnologia interoperabile consentirebbe la creazione di database contenenti infinite informazioni relative al territorio e alle abitudini di vita dei cittadini e occorre cogliere la sfida dell’analisi e dell’interpretazione dei dati raccolti, al fine di ricevere informazioni utili a supporto delle decisioni.

Il processo di sviluppo delle Smart City, però, deve porsi, infine, l’obiettivo del presidio dei luoghi, dei tempi e delle forme del dialogo tra tutti gli attori coinvolti; la mediazione culturale rispetto alle innovazioni che vengono introdotte; l’attenzione rispetto alle difficoltà e alle chiusure difensive eventualmente emerse; la promozione della responsabilità del singolo rispetto alla collettività, in termini di specifico contributo che può apportare al miglioramento della qualità della vita urbana; e, infine, l’affermazione di una visione chiara e coerente delle fasi e degli obiettivi, dei costi e dei vantaggi del percorso di trasformazione avviato. Una dimensione comunicativa a cui è affidato il compito assolutamente strategico: lavorare a una piena consapevolezza della straordinaria utilità del dato nei processi di trasformazione digitale in cui tutti sono coinvolti (cittadini, amministratori e management delle città) perché ci può essere tecnologia in una città assai poco smart, ma non c’è Smart City senza uso consapevole della tecnologia.

Le sei dimensioni chiave nello sviluppo di un processo Smart City efficace

Vision: città intelligente umana e trasversale – Per attivare un progetto smart city, avvertono i curatori del report, “è essenziale avere ben chiaro quale è il modello di citta intelligente che è più in grado di trasformare in senso positivo, attraverso il digitale, la comunità: un modello che sia sostenibile economicamente e sostenibile dal punto di vista sociale e culturale, perché basato sul dialogo con le esigenze dei cittadini e sul sentire comune della comunità. Una smart city che sia prima di tutto “umana”.

Organizzazione: intreccio fra leadership, visione, strategie, rete e partecipazione – La dimensione organizzativa, spiegano gli esperti, si compone di molti fattori, tra cui la capacità di coinvolgere il territorio, l’ascolto e la gestione delle esigenze di tutti gli attori interessati nel processo e la pianificazione degli interventi da compiere. Si tratta, si legge nel report, di “guidare saldamente una rete partecipativa”.

L’economia: stabilità per l’integrazione pubblico-privato – Una città che voglia crescere e avviare progetti maturi in ambito smart city, e non singole sperimentazioni, spiega il report, “deve avere un budget dedicato alle iniziative di innovazione, anche se limitato: la sua esistenza è determinante come indicatore di una scelta culturale”. Un altro fattore da considerare è “la capacità di integrare e fare interagire investimenti pubblici e privati: conoscere fonti di finanziamento necessarie, ripartirle correttamente, ma anche (dove la PA non possa arrivare con un investimento tradizionale) sapere creare condizioni che abilitano concretamente i progetti e possano garantire ai privati stabilità nel lungo periodo, anche in caso di un cambio di amministrazione”.

La società: comunità resiliente, collaborativa e “open source” – La consapevolezza dei cittadini rispetto a come la loro città funziona, quali caratteristiche ha dal punto di vista economico e sociale, può fare la differenza. In questo senso “gioca un ruolo fondamentale la capacità di raccogliere dati e renderli accessibili e usabili dai cittadini” e non basta creare piattaforme open data, che “devono essere punto di partenza per coinvolgere in modo partecipativo, fin dalle fasi iniziali dei progetto, la comunità”.

La tecnologia: infrastrutture e piattaforme per la città – Il tema delle piattaforme collaborative basate sulla condivisione delle informazioni introduce l’aspetto tecnologico dei progetti smart city. Secondo il rapporto ci sono tre fattori tecnologici principali “che determinano efficacia, scalabilità e successo: disporre di infrastrutture di comunicazione di rete sicure, affidabili, capillari, virtualizzabili che permettano di accedere ai servizi digitali, di aggregare dati, avere monitoraggio e controllo; dotarsi delle infrastrutture per ospitare le applicazioni centrali e per raccogliere, conservare, analizzare i dati; costruire piattaforme applicative, sia per una gestione centrale, sia per i singoli sistemi e servizi”.

Comunicazione: dialogo e coinvolgimento per una città umana – Fare una smart city, si legge nel rapporto, non significa semplicemente “immettere tecnologie innovative in un centro urbano” ma “avere l’obiettivo di rispondere in modo nuovo a domande anche esse nuove: assistenza, sicurezza, qualità della vita, partecipazione, innovazione”. Avere cioè gli strumenti per coordinare il dialogo tra tutti gli attori coinvolti, con una mediazione culturale “capace di affrontare difficoltà e chiusure, dare responsabilità alle persone, e condividere in modo chiaro e coerente fasi e obiettivi dei progetti è fondamentale”. Il problema, spiegano gli esperti, è che i progetti non riescono a trasmettere la consapevolezza di come usare quanto viene messo a disposizione.

Gli elementi che possono far crollare le ambizioni smart di una città

In primo luogo la mancanza di vision di lungo periodo e a tutto tondo che coinvolga tutti gli attori del territorio: PA, aziende e cittadini. Senza questo requisito, senza un continuo scambio fra pubblico e privato e senza l’obiettivo finale di mettere l’uomo al centro di questo progetto, non è assolutamente pensabile sviluppare una città realmente “intelligente”. Magari otterremmo una città tecnologica, futuristica, ma il rischio di aver creato una cattedrale nel deserto completamente disconnessa dalla realtà territoriale, sociale ed economica che la caratterizza sarebbe altissimo.

Anche l’assenza di un budget dedicato alle iniziative di tipo tecnologico può rivelarsi controproducente. Da un lato la continua ricerca di finanziamenti per realizzare un qualsivoglia progetto digitale risulta spesso complicato per le amministrazioni. Dall’altro questo vuoto dimostra l’assenza di un’inclinazione culturale verso la realizzazione di progetti di innovazione. Se un’amministrazione locale pensa di non aver bisogno di un budget specifico per portare avanti la sua trasformazione digitale, forse non è realmente pronta ad affrontare le sfide che le si prospettano in quest’ambito.

Altro punto estremamente delicato è il coinvolgimento dell’intera comunità e della totalità del territorio urbano nel processo di innovazione. Se l’uomo e il cittadino devono essere il centro della smart city, hanno bisogno degli strumenti per sfruttare a pieno le sue potenzialità. Questo implica la necessità di garantire l’acquisizione di quelle competenze digitali utili per godere a pieno dei benefici di una città “intelligente”, ma anche un deciso cambio di rotta che metta la PA realmente al servizio del cittadino. Per quanto riguarda il territorio esso va inteso non solo in senso geografico, ma anche in senso sociale ed economico. E in quest’ottica, una smart city non può prescindere dall’essere scalabile, ovvero deve avere la capacità di dispiegare i suoi effetti tanto a livello di macro area, quanto su quelli che sono i microcosmi urbani, come sono i singoli quartieri.

Prima di pensare di adottare tutte quelle tecnologie utili e necessarie per trasformare una città convenzionale in una città “intelligente”, gli amministratori devono riflettere su quelli che sono gli elementi che potrebbero rendere vani i loro sforzi.

  • Siamo pronti a fare della nostra area urbana una smart city?
  • È pronta la popolazione?
  • E le imprese?
  • Sono pronti i privati a sostenere la trasformazione digitale?
  • E l’amministrazione cittadina ha un progetto di ampio respiro, basato su solidi presupposti economici e iniziative concrete?

Rispondere a tutte queste domande è un imperativo categorico, da un lato per affrontare in modo organico e sensato la trasformazione digitale, dall’altro per evitare che la smart city che andrà a svilupparsi sia tutto fuorché una città ideale, magari futuristica, ma ben poco “intelligente”.

Stefania Farsagli