Erano solo 570.000 gli smart worker italiani secondo l’ultimo report pubblicato a ottobre 2019 dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, con una crescita, rispetto al 2018, solo del 20%. Ad usufruirne soprattutto dipendenti della PA che avevano registrato la crescita più consistente, passando dall’8% al 16% di smart worker, e dipendenti di grandi aziende, passati dal 56% al 58%. A seguito dell’emergenza pandemia, il numero delle persone in smart working è aumentato, superando, secondo fonti del Ministero del Lavoro, il milione. Di fatto, secondo una ricerca condotta dai Consulenti del Lavoro, i lavori possibili da svolgere a distanza potrebbero essere oltre 8 milioni.
Quali ragioni hanno spinto ad attivare progetti di smart working prima del Coronavirus?
Secondo lo stesso Osservatorio PoliMI lo smart working andava a soddisfare alcune esigenze avvertite, in particolare dalle grandi aziende, ovvero: il miglioramento del work life balance (78%), l’aumento dell’engagement e l’attrazione di nuovi talenti (59%) e una nuova cultura del lavoro orientata al raggiungimento degli obiettivi (43%). Nelle piccole e medie imprese, invece, i vantaggi erano stati individuati nel miglioramento del benessere organizzativo (50%) e nel miglioramento dei processi aziendali (26%), che con lo smart working dovevano necessariamente essere ripensati e riorganizzati.
Secondo un’analisi dell’Association of Independent Professionals and the Self-employed, le persone che lavorano in forma “smart” apprezzano questa modalità per la flessibilità (55% degli intervistati) e la maggiore produttività (25%).
“In Engineering il lavoro da remoto lo abbiamo metabolizzato da anni. È nel nostro DNA” – spiega Orazio Viele, Direttore Generale Tecnica, Ricerca e Innovazione di Engineering. “Di questi 11.000 professionisti oggi più della metà, circa 8.000, lavorano già in smart working. Il caso della nostra azienda è curioso: offre soluzioni perché i suoi clienti possano organizzarsi per fare smart working, e testimonia direttamente come è possibile organizzarsi per lavorare a gruppi, da remoto. Da anni. Certamente da molto prima dell’emergenza Covid-19 e prima che lo smart working diventasse uno degli strumenti privilegiati della contrattazione aziendale per fare welfare integrativo in azienda, conciliando vita e lavoro”.
5 motivi per introdurre il lavoro agile in azienda
Nell’istant paper “Digital Workplace – ridisegniamo il tempo e lo spazio del lavoro con il lavoro agile”, pubblicato di recente da Engineering, diversi sono i vantaggi evidenziati dal cambiare modalità di organizzazione del lavoro. Tra questi, 5 sono quelli che più di altri possono interessare le aziende e le PA, a prescindere dalla loro dimensione:
- aumento della produttività individuale, dovuto al fatto che i dipendenti, grazie all’utilizzo di strumenti digitali, possono liberare tempo da dedicare ad attività ad alto valore aggiunto
- diffusione del lavoro in team, grazie a nuovi mezzi di comunicazione e collaborazione tra colleghi, in grado di rafforzare le relazioni, seppure a distanza
- promozione della cultura aziendale e del senso di appartenenza all’azienda, vista la possibilità di mettere a disposizione strumenti in grado di ridurre la distanza geografica tra i lavoratori dislocati in aree diverse
- maggiore velocità decisionale del management che ha l’opportunità di analizzare in tempo reale informazioni preziose a supporto del processo decisionale che non solo è più rapido, ma anche più efficace
- migliore qualità del supporto IT, in grado di rispondere alle richieste degli utenti finali in velocità, proprio grazie al contatto diretto e agli strumenti a disposizione.
Nessuna difficoltà per chi lavora “a distanza”?
“Un Digital Workplace in grado di innovare davvero il modo di lavorare ha bisogno di una strategia, di un approccio capace di far procedere di pari passo avanzamento tecnologico e formazione delle persone, aumento della produttività del singolo e crescita della produttività collettiva.
Solo in questo modo è possibile abilitare una vera e nuova cultura aziendale, condivisa dal Top Management e da tutte le persone che operano nell’organizzazione” spiega Francesco Bonfiglio, A.D. di Engineering D.HUB.
“Come ogni elemento della trasformazione digitale l’unica certezza è che il cambiamento, una volta iniziato, sarà continuo” – continua Bonfiglio. “Non deve spaventare, ma anzi deve essere un mantra per tutti, manager e collaboratori. L’evoluzione del business, ma ancor di più il cambio culturale e organizzativo che la corretta adozione del Digital Workplace impone, non potranno fermarsi e diventeranno un motore di innovazione e miglioramento della produttività dell’azienda, di tutta la filiera produttiva, della catena del valore e delle persone.
C’è una resistenza alla presunta perdita di controllo collegata spesso all’esperienza del contatto visivo; la prevalenza di sistemi di controllo gerarchici non sono avvezzi alla gestione di gruppi di individui che lavorano per obiettivi e sono distribuiti per collocazione e lingua. Ma solo gestendo risorse remote si possono valorizzare i talenti. Il controllo deve accompagnarsi alla competenza e alla fiducia. D’altronde senza la digitalizzazione non è possibile competere. Il tessuto imprenditoriale italiano, composto per lo più da piccole e medie imprese che non hanno avuto supporti per competere, ha un gap da colmare ma può compensarlo con la propria agilità”.
Sonia Montegiove