PEOPLE | 12 Set 2016

Trasparenza, accountability e cittadini: intervista ad Antonio Palmieri

Quanto la data driven governance può essere attuata? E quanto possono chiedere i cittadini in termini di trasparenza?

On. Antonio PalmieriLa data driven governance come strumento per agire e incidere positivamente nell’amministrazione della cosa pubblica e come strumento di trasparenza e accountability delle Istituzioni: sono queste le due dimensioni principali quando si ragiona in termini di adozione e implementazione di politiche strategiche e operative guidate dalle evidenze dei dati nella Pubblica Amministrazione secondo Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia e coordinatore dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. “Il primo impiego possibile dei dati nella PA chiama in causa la possibilità di andare oltre l’emozione mediatica del momento: spesso fatti eclatanti assurgono a feticci mediatici tanto da condizionare l’opinione pubblica. In questo modo chi deve decidere spesso risponde non in base alla conoscenza effettiva dalla realtà ma sulla base di una emozione o peggio ancora, non volendo pagare un prezzo politico, e mostra indifferenza per un tema che in quel momento è posto con prepotenza mediatica all’attenzione di tutti.” Adottare politiche decisorie in chiave data driven potrebbe in sostanza ridurre la tentazione di reagire ai fatti di evidenza pubblica, a vantaggio di un agire strutturato e basato sulle evidenze dei dati.

Il secondo aspetto non è di minore importanza: secondo Palmieri la data driven governance è uno degli strumenti per cui può efficacemente passare il rafforzamento dei principi di trasparenza ed accountability delle Istituzioni italiane presso i cittadini, principi spesso disattesi o rispettati a metà. “Poter contare sui dati e, grazie ad essi, motivare perché vengano prese certe decisioni e quindi vengano, ad esempio, impiegati i soldi delle tasse, credo sarebbe un ulteriore passo avanti verso quell’azione di recupero della reputazione della politica agli occhi dei cittadini, per una politica che non voglia continuare a far notizia sempre per gli scandali o per le cose che non funzionano”.

Non si tratta certamente di un approccio totalmente innovativo nel panorama del governo del territorio: Rudolph Giuliani, chiarisce Palmieri, noto sindaco di New York in carica dal 1994 al 2001, ha avuto un approccio uguale anni fa quando “usava quelli che noi oggi chiamiamo big data e sulla base dei dati su criminalità e dati economici ha concentrato la sua azione amministrativa sul territorio coadiuvando le risorse finanziarie pubbliche e private in modo tale da raggiungere obiettivi precisi e visibili ai cittadini”.

Ciò dimostra che una governance data driven è possibile e forse anche doverosa, soprattutto oggi che le tecnologie permettono di definire e tratteggiare un panorama ancora più complesso e accurato del reale. Il che implica un ampliamento del ventaglio di buone opportunità per quella PA che voglia governare al meglio il territorio. “Ma attenzione al tema delle competenze: la data driven governance ha alla base un fattore culturale di conoscenza e di capacità di coinvolgimento dei decisori, che devono dare l’input nelle singole amministrazioni, e poi di professionalità all’interno della PA o connesse alla PA, che consentano la effettiva capacità di saper leggere i dati.” 

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La situazione italiana della politica e delle Amministrazioni sul tema è in chiaro scuro ancora. Palmieri riconosce che ci si è mossi molto in questi anni con il portale dei dati aperti della PA italiana che sta “vivendo una progressiva evoluzione che va di pari passo con la presa di coscienza delle necessità del territorio”. Ma su molti aspetti si può e si deve continuare a lavorare. “Quello su si può lavorare ancora, è la messa in comune di buone pratiche, andando a sostituire l’abitudine consolidata a fare, anche bene, ognuno a casa propria ma difficilmente a condividere tali esperienze.”
Nel movimento in atto a livello di governo Palmieri ricorda anche il FOIA che “è un tassello che sta dentro quella filosofia di governo che parte dai dati e dal fatto che tutti i dai siano pubblici, tranne ovviamente quelli che necessitano di riservatezza per il bene comune.” In questo senso sarà molto rilevante il capitolo dei decreti attuativi, quelli che permetteranno di passare “dalla carta alla realtà”, ovvero dal dire al fare, sul digitale e sui suoi corollari. “Discorso che vale anche per il nuovo Codice dell’amministrazione Digitale, perché abbiamo una situazione per cui è messo sulla carta che il digitale avrebbe prodotto taluni risultati.”

Cosa fare per favorire quindi lo sviluppo di un approccio data driven?

Secondo l’on. Palmieri si potrebbe godere di un significativo passo in avanti se si sviluppasse un’azione di pressione popolare che “si estrinseca in primo luogo attraverso associazioni e altre realtà della PA o connesse alla PA come, ad esempio, il ForumPA. Manca, infatti, quella attenzione mediatica che potrebbe catalizzare l’interesse sul dato e trasformarlo in una domanda politica alla quale non rispondere esporrebbe il Governo a una sanzione politica reale, cioè al fatto di non essere più premiati alle elezioni.”
Questo perché tutti i temi legati all’innovazione sono argomenti complicati, spesso difficili da comunicare in modo accattivante tanto che, a torto, sono ritenuti temi esclusivamente patrimonio di pochi esperti “mentre nell’era che siamo vivendo, la società digitale, diventano le fondamenta del nostro agire.”

Ma attenzione all’effetto Minority Report. Antonio Palmieri ricorre al racconto di Philip K. Dick e al film di fantascienza di Steven Spielberg, in cui dati e informazioni vengono usati per arrestare preventivamente chi in futuro si potrebbe macchiare di taluni reati senza possibilità di attenuanti, per rivendicare un uso attento del dato in ottica data driven: “non possiamo rinunciare alla nostra libertà e creatività attribuendo ai dati un potere salvifico che essi di per sé non possono avere. Perché la capacità di interpretazione di un dato, la capacità di scegliere anche in controtendenza rispetto ai dati perché tale scelta fa parte di una decisione politica anche nel rispetto della privacy dei cittadini, va assolutamente preservata. Serve rispetto nell’uso dei dati, una cautela che aiuti a non sfociare nelle contraddizioni alla Minority report, per non attribuirci una capacità predittiva basata sulla analisi dei dati del passato che rischia di condizionare la libertà del presente”.

Mariangela Parenti